Si contano ben tre progetti musicali collettivi e qualche lavoro solista, prima che Jack Cooper decida di lanciarsi con i Modern Nature, la band che attualmente sembra la sua soluzione stabile, visto che negli ultimi tre anni ha prodotto solo con loro ben 4 dischi più l’EP d’esordio. Island of Noise e Island of Silence rappresentano l’ultimo sforzo, prodotto da Bella Union, due dischi complementari più che un disco doppio, dato che il secondo è un riadattamento strumentale del primo. Perciò la release del disco è solenne: un vinile di 180g con un booklet in pelle contenente il lavoro di ben altri dieci artisti, come il poeta Robin Robertson, il micologo Merlin Sheldrake, l’illustratore Sophy Hollington, il musicista Eugene Chadbourne e lo scrittore Richard King, chiamati a reinterpretare e decostruire le tracce del disco. C’ è anche un film che accompagna il disco, che avrà quattro proiezioni speciali. Insomma, Jack Cooper e la Bella Union hanno fatto le cose in grande per questo disco, che vuole essere la consacrazione dopo How to Live e Annual, che si sono succeduti a ruota nel 2019 e 2020. Non a caso Cooper si è circondato, per il progetto Modern Nature, di un fior fiore di musicisti: al sassofono Evan Parker, al piano Alexander Hawkins, al basso John Edwards e al violino Alison Cotton, oltre ai suoi fedelissimi Jeff Tobias, e Jim Wallis alla batteria, con Ed Deegan alla produzione. A proposito del film, così ha dichiarato Cooper: “Ascoltiamo la musica in tante differenti circostanze, ma è raro sedersi e ascoltare un disco senza distrazioni ormai, perciò questo è stato il mio iniziale scopo per il film: fare qualcosa che focalizzasse l’attenzione sulla musica. Quando abbiamo cominciato all’inizio dell’anno [2021] a girarlo con Conan Roberts, subito ha preso vita per conto suo, quasi come se volesse cercare ordine nel caos. Trascorso un anno, è emersa una narrazione di un paese che si riprendeva dalla pandemia”.
L’album è ispirato dal testo shakespeariano “La Tempesta”, a cui è dedicata la traccia 1 omonima che introduce il disco. Dopo averlo letto nel 2019, Cooper ha intuito che “esso riassumeva quello che stavo pensando all’epoca, sulla natura della musica, del rumore e del silenzio, sino al caos e alla confusione che sembra impossibile da navigare”.
Quanto al titolo del disco, e alla sua immaginaria location, “Ho immaginato il paesaggio dell’isola [in cui si ambienta il dramma] e come poteva cambiare durante il disco. La mia chitarra, la batteria di Wallis e il basso di Edwards vorrebbero rappresentare l’evoluzione lenta del paesaggio mentre le foreste e le valli e la vita animale dell’isola sono rappresentate dall’orchestra di improvvisatori e di strumenti classici, che si muovono intorno a certe specifiche melodie”.
Certamente un album complesso, dunque, che cerca il suo climax in Ariel, la canzone più costruita del disco, quasi recitata più che cantata, mentre singole note di diversi strumenti accompagnano la voce. Una voce che lungo tutto il disco finge di essere uno straniero arrivato sull’isola, che racconta il paesaggio con mistero e stupore.
Un album, questo, sicuramente apprezzabile per intenti e per come essi sono stati realizzati: un project work a più dimensioni, in un certo senso, dove la musica fa da padrona ma non è unica. Questa musica, però, è in realtà nel disco insufficiente a rendere conto di tutte le sfaccettature sia della originaria opera del bardo sia del progetto cooperiano di cui vorrebbe essere lo scheletro principale. Prendiamo per esempio Bluster: essa è uno swing piuttosto monotono di sassofono, e anche Ariel e Performance non sono quelle rivoluzioni che la Dunes annunciava con un intro solenne e magica, effettivamente ispirata alle ricche immagini di fantasia della più famosa tra le commedie di Shakespeare. Il quasi strumentale Symmetry sembra in effetti colonna sonora da teatro, come la title track Tempest, ma proprio per questo eccessivamente minimalista. Per fortuna il disco a metà si riprende, e riprende soprattutto ritmo e melodia, Con Masque, vivace reprise introdotta da un gioco di basso e batteria, e Spell, ricavata da arpeggi di chitarra, sontuosa e mistica, e soprattutto con la conclusione di Build, che riprende il tono epico, soprattutto col crescendo finale, della traccia iniziale, chiudendo virtuosamente in circolo il disco. Queste sì che sono tracce complete. Si tratta sempre di jazz-rock, e folk, conditi da qualche schizzo di progressive psichedelico, ma almeno c’è vivacità e dinamica. Brigade poi si fa notare proprio per il ritmo, introdotto da basso e batteria, che fin qui languiva un po’. Complessivamente si tratta di un disco per palati non facili, più musica di accompagnamento e da camera che non da palco di stadio, ma non mancano le emozioni, anche se il nuovo disco di Cooper e soci comincia a difettare di cerebralismo rispetto alla novità dei precedenti.
autore: Francesco Postiglione