Soul-pop. Come lo potrebbero intendere i Radiohead alle prese col repertorio di Marvin Gaye o la Cinematic Orchestra intenta a coverizzare i Love…
Con la benedizione di Dj Shadow, il quale nel suo ultimo lavoro “The outsider” ha voluto tra gli ospiti il cantante Chris James, gli inglesi Stateless esordiscono con un lavoro estremamente raffinato, fatto di canzoni pop-rock nella forma ma profondamente soul nella sostanza, con elementi elettronici ad arricchirne le trame, astrazioni psichedeliche a dilatarne i contorni e ritmiche hip-hop ad ancorare ben bene il tutto a solide radici urban. Generi affastellati uno sull’altro? Furbi adescamenti drum’n’bass? Il desiderio di pescare un po’ qua e un po’ là per allargare il probabile bacino d’utenza? Niente di tutto questo. Gli Stateless dimostrano di avere le idee chiarissime e di padroneggiare gli elementi in gioco con grande senso della misura, suonando lineari pur nella ricchezza delle fonti utilizzate e risultando essenziali pur nella cura certosina dei molti dettagli tratteggiati.
Dieci canzoni orchestrate in un flusso coerente e tanti episodi di buono spessore: “Prism #1”, “Bloodstream”, “Down here”, “Bluestrace”, “Inscape”… e soprattutto “This language”, dove il cantato di Chris James fluttua su eterei arrangiamenti di archi, sospinto dall’electro-rap di Lateef the Truthspeaker. Qualcuno si impegnerà a snobbarli perché troppo “cool” e “levigati”; in tanti non esiteranno a tributare loro i meritati applausi!
Autore: Guido Gambacorta