Dopo un demo 4-tracce del 2006, intitolato semplicemente ‘4’, i fiorentini Rio Mezzanino giungono nel 2008 all’esordio sulla lunga distanza, con quest’album di 13 tracce piuttosto lungo: 60 minuti. I suoni scuri, notturni, di questa nuova band italiana, si rifanno in effetti ad un immaginario totalmente americano, tant’è vero che molte riviste musicali ci precedono nell’inquadrare quest’album tra i lavori folk, ed in effetti ‘Economy with Upgrade’ è un lavoro che fa pensare alle terre e alla gente del Sud degli Stati Uniti d’America: i luoghi ed i volti aridi, bruciati dal Sole di giorno e poi raffreddati dall’umidità della notte.
Ma il Sole qui non c’è, se non come aspirazione, talvolta: ci sono piuttosto la notte e le atmosfere scure dell’anima – ma non malinconiche e deprimenti, piuttosto romantiche, intime, suggestive – create dalla voce bassa e profonda di Antonio Bacchiddu e dalla splendida chitarra elettrica di Federica Fabbri, con effetto molto coinvolgente anche se piuttosto fisso, orientato sul Tom Waits di ‘Blue Valentine’ e sui primi lavori solisti di Mark Lanegan, tipo ‘Whiskey for the Holy Ghost’ del 1993 – dunque quando il cantautore di Seattle non aveva ancora tra le sue corde il singolo episodio che spiccasse – ma in ogni caso qui non c’è neanche l’autodistruzione “etilica” di quel Lanegan, e l’album è più una sorta di ode alla notte.
Ad ogni modo, i componenti di questa band hanno sostenuto, in una recente intervista, di essere molto interessati anche all’attualità musicale: Portishead, Notwist, Massive Attack tra i loro ascolti abituali, e penso che in questa direzione, i Rio Mezzanino potrebbero anche trovare nuove possibilità per crescere definitivamente, accettando la sfida della modernità, che certo, non necessariamente dev’essere un dogma, ma presenta nuove vie, come l’elettronica, che può contribuire molto, in questo tipo di musica. Del resto anche qualche accenno jazz noir, stile Chet Baker, in quest’album c’è, e va incoraggiato, sempre nell’ottica di ampliare le proprie possibilità.
E’ bello e toccante, il testo di ‘Phoenix’, che è stata probabilmente pensata come una canzone d’amore, ma rimane aperta e si presta ad altre interpretazioni, come il rapporto tra l’uomo e Dio, e ricorda le parole di ‘X Agosto’ del poeta Giovanni Pascoli, come del resto ‘Six Feet Under’ fa pensare ai componimenti della ‘Antologia di Spoon River’ del poeta Edgar Lee Masters, o a Poe, Coleridge.
Quando poi il quintetto si muove compatto e corale, con i contributi finalmente possenti di Oretta Giunti alla batteria, Leonardo Baggiani al basso, Giuseppe Viesti alle percussioni, e l’ospite Emma Erdas alla viola, i Rio Mezzanino piacciono ancora di più, e per quanto non abbiano ancora una personalità sviluppata, si pongono ora come ora, assieme a Morose, Songs for Ulan, Tellaro e Tanakh, come i migliori gruppi italiani del genere.
Autore: Fausto Turi