Il progetto musicale dei Deadburger sembra avere un obiettivo alla base ben preciso: manipolare, alterare, scarnificare (?!) la “canzone rock” in italiano, per dar vita a qualcosa di nuovo ed originale, urticante ed instabile. “Cosa” sia effettivamente il prodotto di questa “mutazione” non si sa precisamente. E non è nemmeno importante saperlo, in verità. Non è detto che sia sempre particolarmente esaltante, ma è senz’altro qualcosa di sfuggente a mode, tendenze e compromessi stilistici. Qualcosa di difficilmente classificabile. E questo ci piace.
In “C’è ancora vita su marte” ritroviamo un cocktail ribollente di rock deviato, impro-noise, spruzzate free jazz e industrial, elettronica molesta, un po’ dello stile degli Afterhours imprevedibili ed ironici degli esordi, un pizzico di Area, divagazioni in odor di prog, intermezzi strumentali, canzone d’autore maledetta, e testi tra il surreale, il malinconico e il demenziale (ricette di cucina, riferimenti a personaggi curiosi come l’ex sindaco macho-fascista di Chieti…). Alla lunga il disco stanca, diciamolo (sono pur sempre 22 tracce, tra veri e propri pezzi e schegge sonore varie ed eventuali). Ma il pregio della band è quello di non cadere mai nello sperimentalismo fine a sé stesso, giocando con la materia “rock” senza direzioni precise e soprattutto senza limiti auto-imposti, ma senza mai perdere di vista l’ascoltatore ed il bisogno di comunicare con esso.
Autore: Daniele Lama