Dopo 4 dischi di pop sperimentale in lingua inglese che sono valsi alla band pugliese molta considerazione, rafforzata dalle coinvolgenti esibizioni live, i Vegetable G realizzano ora questo disco in lingua italiana ambizioso, interessante e caratterizzato da grande sicurezza nei propri mezzi.
Col passaggio lo scorso anno alla Ala Bianca rec. (distribuita dalla Warner) era giunto l’EP invernale intitolato La Filastrocca dei Nove Pianeti, che in effetti aveva già manifestato l’intenzione della band di Monopoli di passare all’italiano, ed il risultato che abbiamo sottomano ora contiene 10 brani di pop barocco, in stile Elephant 6, con sognanti arrangiamenti orchestrali di archi e fiati su composizioni per tastiera, chitarra e batteria, e un tema che lega tutte le canzoni, ossia lo spazio cosmico, l’Universo, il viaggio intergalattico come metafora di evasione, di sogno e di uno sguardo gettato ben più in là del solito quotidiano, spesso soffocante e banale.
La qualità delle canzoni è molto buona e – cosa rara nella musica indipendente italiana – tutti gli episodi si stampano nella testa pur non trattandosi di un disco frutto di compromessi artistici di qualche genere; e inoltre dobbiamo dire che ne L’Almanacco Terrestre di italiano non ci sono solo i testi: i Vegetable G realizzano oggi un disco pop autenticamente italiano, che tiene conto di un percorso storico artistico che parte da Franco Battiato e giunge fino a Baustelle, Virginiana Miller, Perturbazione e Non Voglio che Clara, sia pure accompagnati da maggior ottimismo, ed il lavoro del leader Giorgio Spada (voce e tastiere), autore dei brani, si completa con gli arrangiamenti per fiati di Enrico Gabrielli, e con il buon lavoro del resto della band, composto da Luciano D’Arienzo (chitarra), Michele Stama (basso) e Maurizio Indolfi (batteria).
Il brano omonimo intitolato ‘L’Almanacco Terrestre’ è il sigillo del disco e ne sintetizza la filosofia quando Spada canta che “orbite e cellule sono la stessa cosa/ non siamo differenti io e te/ rispetto all’Infinito”, e sullo stesso gioco spaziale proseguono la contagiosa ‘La Filastrocca dei Nove Pianeti’ e ‘Galaxy Express’ (si, proprio il treno spaziale del glorioso cartoon giapponese, su cui viaggia il robottino che vuole diventare umano), ma bello anche l’antirazionalismo di ‘L’Aritmetica che non Capisco’, o il vaudeville barocco ‘Il Cielo di Van Gogh’, o i due divertissemant acustici intitolati ‘Le Avventure dell’Oblò’ e ‘Il Giardino delle Sfere’.
La critica al disco deve tener conto dunque dell’ispirazione limpida e del solido contenuto creativo, sebbene il morbido clima barocco, infantile, sognante e sottilmente psichedelico dell’album potrà anche deludere quella parte del pubblico che aveva apprezzato, della storia passata della band, soprattutto la maggior risolutezza rock di Genealogy (2007).
Autore: Fausto Turi