Se celebrare può risultare eccessivo, almeno un po’ di baldoria – quella che non abbiamo fatto col precedente Indie Cindy – ora è dovuta.
Non che quello fosse un brutto album ma per il grande rientro i Pixies scelsero allora di eseguire il compitino aderendo alla grammatica che li rese immortali. Ne uscì fuori un disco di maniera, senza grandi sussulti.
In Head Carrier invece i Pixies si lasciano finalmente andare e un degno seguito a Trompe Le Monde venticinque anni dopo, ora c’è.
Certo, l’alternanza di brani pop a quelli più punk è tanto gigiona, ma va bene così, perdonati.
Un p0′ meno perdonabile invece la percezione che a scomporre chirurgicamente queste canzoni e riassemblarle si potrebbero ricostruire tutti i grandi successi dei Pixies.
Comunque sia, finalmente le chitarre di Joey Santiago ormai pronto per il rehab ritornano ad essere taglienti e la voce di Frank Black di nuovo in grado di aizzare risse mentre Paz Lenchantin (A Perfect Circle, Zwan) fa del suo meglio – riuscendoci pienamente – per non farci sentire la mancanza di Kim Deal.
I brani che ci intrigano di più sono ovviamente quelli cattivi come Baal’s Back, Um Chagga Lagga e Head Carrier ma vogliamo segnalare Tenement Song sul versante di quelli melodici oltre ad un paio di episodi isolati in cui i Pixies sembrano cercare altre fonti di ispirazione in ascolti diversi; succede in Talent dalle chitarre alla Television e atmosfere proto punk pre settantasettine ad un passo dal cold funk e in Plaster Of Paris, vagamente memore di gente come Pink Mountaintops nella voce e Kurt Vile nelle chitarre.
Insomma i nostri ci stanno provando, bisogna prenderne atto.
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autore: A.Giulio Magliulo