In tutta sincerità non ho mai digerito del tutto che il blues sia definito “la musica del diavolo”, se non nell’accezione di tentarti tante volte quante sono le proposte di un certo livello. Senza temporeggiare più del dovuto, vado dritto
al concetto: il secondo album “Night lore blues” del romano Bonny Jack (Matteo Senese) incarna quanto appena detto. La forza dell’opera è data dal fatto che il Nostro abbia voluto imprimere, agli 11 pezzi inclusi, una veste casalinga, con un home-recording che, alla fine, risulterà l’asso vincente. Inoltre i testi spaziano tra racconti biografici e storie di altri (cosa che, invece, nella tradizione americana quest’ultimi prevalgono sui primi). Un disco che sciala narrati notturni, vagamente spaventosi, in clima noir, tra dark-country e American-gothic. Chiaro che nel tracciato di “Night lore blues” si cammini col diavolo (“Walkin’ with the devil“, appunto…) ma sempre con l’intento di conviverci per fini ispirativi, in un dualismo, talvolta, ricorrente come prevede l’opener-single “Dr.Jenny & Mr. Gali“.
Globalmente, i suoni sanno di estro ialino, viste le premesse soprade scritte, parimenti al nome che si è dato, mettendo in rilievo anche la parte rosa delle corsare (Anne Bonny), poco citate in letteratura e Jack Rackam (per la parte maschile). Esulando dalla piaggeria, credo che l’artista capitolino abbia confezionato un’opera che giova alle orecchie, poiché Matteo è un chitarrista dalla forbita esperienza ed intimo speleologo del suo strumento: se sia slide-guitar o cigar-box, la pertinenza d’uso è totale. E’, inoltre, capace, di rimaner colpito dalla leggenda di una sposa mancante (“Missing bride“) , nascostasi per gioco in un baule e ritrovata scheletrica anni dopo (che sfiga!…) o di immolare in “Old fashion song” il suo cocktail preferito come un rito sciamanico, col potere di ristabilizzarlo, una volta passato il buco nero umorale, col testo impostato a mo’ di ricetta! Insomma, fantasia in prima linea e banalità liriche bandite dal lotto ideativo e compiacimenti offerti su tutto il raggio esecutivo: da “The hanging man” a “Come with me” o “Jack the ripper” è un bel fluire. Oppure odi in “The wayfaring soul“, garbate strisciate di sitar che non t’aspetti dal blues.
In definitiva, 11 atti (in)dolenti, oscuri ma con lampi cangianti, accesi da un eccellente “one man band” che non tralascia mai la peculiarità di immergersi totalmente al servizio del progetto. Diavolo d’un Matteo!
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autore: Max Casali