Poco lavoro sui suoni. Ricerca zero. Variazioni telefonate. Troppo puliti, insipidi. Troppo “sgamata”
la loro voglia di stupire a tutti i costi. Ma, cari ragazzi, quella ti frega quando diventa una sterile ossessione.
Pezzi gonfiati e diluiti che strizzano l’occhio un po’ dappertutto. Bravi musicisti, ma è meglio che facciano i turnisti. I testi? Frasi pescate a caso da un’urna probabilmente. Una produzione medio-alta sprecata, peccato! La voce, quasi fastidiosa, ho avuto l’impressione che ambisse a quella di John De Leo (Ex-Quintorigo). Invece ne ho avuto la certezza alla traccia 11 che, con le stesse cadenze, recita un monologo come fa il camaleontico John alla traccia 55 di “Grigio”. Ehi ragazzo! Mira più in basso! “La moda che mi confonde/ la noia che si diffonde”…
”noia” in un pezzo che parla di noia è alla stregua di una rima Cuore-Amore in un pezzo di Gigi D’Alessio. La musica deve dare ad intendere ..non “dire”. Chi li ha prodotti ( ovvero coloro
che hanno aggiunto dei soldini a quelli che i ragazzi avevano già in tasca per questo disco) a quale
bacino di utenza mirava? Io non riesco a capire! Forse fighetti-freak pseudo-intellettuali col vizietto per la musica “dura”? Leggo in una presentazione: “Post-Pawer-Pop”. Si definiscono cosi. Ma che cazzo significa? Quando si ambisce ad essere un po’ tutto non si è praticamente nulla!
Perche sono stato così cattivo? Ho le mie buone ragioni!!!
Autore: Stefano Ferraro