Esistono folgorazioni; e così fu per me quando ascoltai per la prima volta “Drinking Songs” (classe 2005) di Matt Elliott che, sin dal suo “assoluto” incipit “C.F. Bundy”, mi ha lacerato con inguaribile amorevole claustrofobico disagio.
Correva l’anno 2003 e l’ex Third Eye Foundation, svestiti abiti “ostili”, si ripiegava in se stesso con un intimismo e un lirismo epocale, temperando riflessione e analisi con protesta, dando alle stampe il primo lavoro a suo nome “The Mess We Made”: un’(in)(e)voluzione naturale in una parabola discendente che in realtà era ascesa verso una catabasi velata di anabasi.
La “violenza” nei suoni e nella ricerca di una contrapposizione alla nostra modernità viene da Elliott codificata con un nuovo linguaggio, e il Cristo rivoluzionario e ieratico di “You Guys Kill Me” (del 1998 a firma Third Eye Foudation) si fa “pietà” deposta in “Failing Songs” (2006) e celebrata in una messa funebre e folk(loristica).
Il successivo “Howling Songs” (2008) incide, con ostinata forza, l’affascinante perdita di ogni “grazia” e il lamento per le tante (dis)grazie, chiudendo un ideale primo capitolo narrativo.
Dal 2008 è trascorso un quarto di secolo, ma Matt Elliott, fedele alla linea, con onestà intellettuale, lavoro discografico dopo lavoro discografico, ha aggiunto di volta in volta un prezioso tassello alla sua biografia artistica che, seppur con “alti” e “medi”, si è sempre mostrata di livello, non lesinando derive in rotta con ogni approdo commerciale, come i meravigliosi 17,18 minuti di “The Right” to Cry”, brano collocato di bolina in apertura dell’album “Only Myocardial Infarction Can Break Your Heart” (del 2013).
Oggi, nel 2023, Matt Elliott, con “The End of Days” (Ici, d’ailleurs), sprofonda in un melanconico classicismo moderno, perfettamente sintetizzato dal brano eponimo, in cui le corde di una chitarra “viennese” arpeggiano in “contrappunto” con un accennato tema pianistico, prima che i fiati soffino sull’ascoltatore un afflato zingaro; tale matrice si replica per l’intero disco, ora con toni più “cupi” e compassati come in “Song of Consolation”, ora in acquerelli più “festosi” ed “eleganti” come nella “danzante” strumentale “Healing A Wound Will Often Begin With a Bruise” (sul vinile presente in versione “short”).
Se “Janaury’s Song” evoca una corale nenia, i 12,34 minuti di “Flowes for Bea” sbocciano in una lunga e assolata tarda estate mediterranea, il cui respiro è tagliato dall’afoso assolo/tema saturato di chitarra.
“Unresolved” “raffredda” nuovamente l’aria e con la sua pianistica “coda” congeda “la fine dei giorni” e dell’ascolto.
Ultima menzione per la voce di Elliott che osserva e racconta, guarda e narra ma soprattutto descrive con un inimitabile timbro al contempo profondo, accorato e distaccato.
https://www.instagram.com/mattelliott.thirdeyefoundation/
https://www.facebook.com/mattelliottthirdeyefoundation
autore: Marco Sica