Ritornano i campioni assoluti dello ‘screamo’ – così gli americani chiamano l’emocore urlato, quello con ancora un esile collegamento al punk/hardcore e in grado di esprimere qualche valore in una scena emo contemporanea triste e conformista, ostaggio del mercato delle colonne sonore dei telefilm tipo ‘The O.C.’ – e di nuovo ci scaraventano addosso una vagonata di nevrosi e tensioni per un totale di 51 minuti.
Talvolta, ogni tanto, ancora vado a riascoltare il singolo tratto dal loro secondo disco ‘Hide the Kitchen Knives’ del 2002: il bambino… il coltello per tagliare la torta… il babbo e la mamma… l’incidente domestico (incidente?)… i sensi di colpa (l’omicidio?)…. Malgrado da allora il gruppo abbia pubblicato altri 2 dischi dei quali non ne so nulla, vi riferisco che per i PC non è cambiato assolutamente niente, in 4 anni, e questo per un gruppo rock di solito non è una grande notizia. E in effetti questo disco lascia in parte insodisfatti.
John Congleton non è dimagrito di un etto, va ancora in giro con quell’assurdo barbone biondo che lo fa assomigliare al freakettone che fu il compianto Jerry Garcìa, e a far danni con la sua chitarra elettrica suonata alla maniera di Captain Beefheart con al fianco il fido pianoforte aggredito e triturato per bene dall’ottimo Kirkpatrick, costui si, autentica caratteristica distintiva dei PC rispetto a tutta la mediocre marmaglia dei gruppi che inseguono…
Il quartetto di Dallas è in effetti dotato di grandi capacità tecniche, e ad esso talvolta s’aggiunge un violoncello, che nella bella ‘You’ll Never Take me Alive’ tiene persino una ritmica punk sbarazzina, mentre altrove – ‘What’s so Amazing About Grace’ – deraglia verso un cervellotico noise ricordando certe cose dei Quintorigo.
Se trovate inquietanti titolo del disco ed impiccato in copertina, sappiate che i PC affermano di volersi proporre quale trasposizione in musica del cinema di G.A.Romero, e sentite qui i titoli di alcune loro canzoni: ‘The Kids will Grow up to be Assholes’, ‘You will Never Take me Alive’ e ‘We Know where you Sleep’.
Le tracce più riuscite del disco sono ad ogni modo queste ultime due, più ‘You’re one of them aren’t you?’, mentre non capisco il senso delle inutili cosine di 80 secondi che fanno da intermezzo qua e là; inoltre c’è quella stranezza intitolata ‘Wait Until I get my Hands on you’, che è la variazione sul tema di ‘Father and Son’ di Cat Stevens: voglio sperare che i PC abbiano pagato i diritti della canzone al vecchio cantautore, altrimenti vergogna!…
Ma è ‘At the Other End of the Leash’ che mostra chiaro e tondo ciò che per altro avevo sempre sostenuto: nell’immaginario di Congleton c’è Roger Waters, il vecchio leader dei Pink Floyd. E chiaro come il sole, ascoltando come e cosa canta in questa canzone: sembra di ascoltare il misantropico ‘The Final Cut’!
Autore: Fausto Turi