La band capitanata dal buon Steve Wynn fra scioglimenti, ritorni sulle scene e cambi formazione, sono quasi quarant’anni che si dedica al rock.
Nella sua ennesima incarnazione partita nel 2012, dopo più di un ventennio dal prematuro rompete le righe, i Dream Syndicate si son ritrovati con i membri originali Steve Wynn (voce, chitarra) e Dennis Duck (batteria), una presenza di lungo corso in seno al gruppo come Mark Walton (basso), oltre alle new entry Jason Victor (chitarra) e Chris Cacavas (tastiere), onde dar vita ad alcune tournèe ma, in particolare, ad un trittico di nuovi album, l’ultimo dei quali è il recente The Universe Inside.
La nuova fatica discografica dei nostri è nata da una serie di lunghe jam in studio, riassemblate poi da Wynn, il quale si è anche occupato delle liriche, prendendo spunto da alcuni testi sparsi sul suo cellulare.
Da ciò si comprende come l’impostazione del disco sia assolutamente improntata ad un simil cut up musical-letterario, dove l’unica regola è non aver regole, se non lasciarsi trasportare dall’ispirazione del momento.
Si spiega così pure il fatto che in scaletta vi siano solo cinque pezzi, tendenzialmente, molto lunghi ( il record spetta all’iniziale The Regulator con i suoi venti e passa minuti di durata) e scevri da qualsivoglia refrain o facile cantabilità, elementi che pur appartengono al songwriting di Wynn.
Ma qui a prevalere è la voglia di rimettersi in gioco, di far sì che la forma non abbia la meglio sul contenuto. E’ bello sapere che un tale atteggiamento sia appannaggio di un gruppo di lungo corso quando, invece, molti colleghi della loro età, illustri e non, si accontentano di andare sull’usato sicuro.
The Universe Inside forse non sarà un capolavoro in toto eppure, ad orecchie attente, regala più di un momento di sincera bellezza. Che il sogno continui…
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autore: LucaMauro Assante