Qualche mese fa, interamente autoprodotto, è uscito il secondo album in studio dei Tristema, band della provincia di Salerno, più precisamente del Cilento, più precisamente dell’area attorno Vallo della Lucania.
Direte voi: “E perché lo recensisci solo ora?”
Rispondo io: “Perché c’avevo le casse scassate (appropriato il termine)”
E risponderete voi: “E a noi che ce ne frega?”
E vi dirò io: “E pure c’avete ragione”
E sempre voi: “Si, ma parliamo di te o dell’album? St’album t’è piaciuto o no?”
E io: “Si, l’album m’è piaciuto”
Dialogo mode: OFF
Nonostante le basse aspettative personali, poco convinto dei brani che andavano a formare il lavoro precedente “Come ti vorrei”, i Tristema di “Dove tutto è possibile” sfronano un album dal punto di vista compositivo proprio bello.
“E che sapore ha ‘sto disco?”, chiederete voi (oh, ma mi fate scrivere o vogliamo anda’ avanti a botte di domande e risposte?): “Dove tutto è possibile”, se si dovesse definire in poche parole, sarebbe il disco dei Negramaro dopo che questi tipo hanno passato le sfighe più nere e, tornati in studio incazzatissimi, avessero pestato sugli strumenti tirando fuori un bel po’ di rabbia.
La title-track è indicativa di questo: riff belli potenti a fare da tappeto a linee melodiche come già detto catchy e ottime armonizzazioni a due voci, dimezzamenti di tempo nella batteria che sospendono il brano.
“L’impercorribile” apre con una base elettronica a fare da tappeto alle voci di Candido Di Sevo (basso) e Alessandro Galdieri (chitarra) fino ai fraseggi di chitarra di Romolo D’Amaro che però non convincono del tutto, troppo canonici.
In generale il pezzo convince poco anche per il cantato di Di Sevo, troppo timido in alcuni punti, ma l’idea della mistione fra distorsioni, elettronica e violini merita.
“L’assenza” (anche singolo e video) vede la partecipazione di Daniel Gildenlöw dei Pain of Salvation che, oh, a me non mi piace come canta, co ‘sti cazzo di melismi forzati.
Daniel Gildenlöw a parte, il pezzo rende. Torniamo a sonorità elettroniche con “Nel silenzio” (dove però si palesano i punti deboli legati all’autoproduzione di questo lavoro): quello che colpisce in particolare del brano sono i cambi di tonalità negli scambi alla voce fra Di Sevo e Galdieri, che si trova a proprio agio sulle parti alte.
“Maryland” è un altro pezzo bello proprio, di nuovo incazzato come il brano d’apertura con i synth bassi azzeccatissimi e un ritornello che potrebbe essere un tormentone da chart. Arriva un altro feat, questa volta con il rap dei Fuossera, per un ibrido ancora una volta alt-pop con ritornello ancora una volta da chart. “Vortice” all’alt-pop si concede dei passaggi quasi prog con tanto di synth sfasati, mentre “L’eclissi”, ennesimo feat questa volta con Paola Salurso, porta i Tristema verso territori folk-bossa nova che forse stonano un po’ nel contesto generale dell’album.
Con “Constanze” ci troviamo di fronte a uno dei brani migliori di “Dove tutto è possibile”, omaggio a Mozart dal tema trattato ai rimandi musicali che citano “Lacrimosa” per un brano straziante, da colonna sonora con i suoi violini, dove la voce alta di Alessandro Galdieri si esprime al meglio in contrapposizione alle parti basse affidate a Candido Di Sevo fino all’interludio il quale, raggiunto il climax, riporta al main theme rarefatto per poi riesplodere.
Con “Gli spazi della mente” torniamo su territori power-pop che ricordano in parte i primi Verdena: belle le variazioni che, come in altri brani del lavoro, escono per pochi attimi dalla struttura strofa-ritornello-strofa e che fanno di “Dove tutto è possibile” un lavoro interessante dal punto di vista compositivo.
“Immagini riflesse” ricorda in parte i Muse per la cadenza (“Micro Cuts”) e per l’uso dei synth (come accade un po’ per tutto l’arco dei 41 minuti e 54 secondi di “Dove tutto è possibile”): peccato per l’assolo di chitarra, troppo ostentato e pacchiano per i miei gusti. Chiude l’album la ballata “L’istante” per chitarra e due voci.
Dice “Ma ‘sto disco quindi è proprio bello bello che può essere definito uno dei più belli belli del 2012?” (e daglie co ‘ste domande): no, perché purtroppo, nonostante le basi ci siano, nonostante le melodie siano un sacco sacco fiche e per niente scontate, nonostante i Tristema sappiano suonare (in alcuni casi, come detto, ostentano pure un po’ troppo, alcuni assolo e fraseggi di chitarra a far notare a tutti i costi la padronanza del mezzo erano evitabili), l’autoproduzione, come abbiamo già detto, tende a far calare il livello generale del lavoro.
Il sound è spesso freddo (nonostante sia abbastanza in linea con l’offerta), ma si poteva fare decisamente di meglio, in particolare sui pianoforte, sulle batterie (digitali) e sulla voce principale (Candido Di Sevo) che esce un po’ troppo fuori rispetto al resto degli strumenti, poco convinta in alcuni casi, e che con un trattamento differente forse sarebbe riuscita ad essere più comunicativa.
Autore: Franco Galato