Dopo diversi, accurati ascolti, posso fondatamente affermare che P.W. Long è il fratello illegittimo di Eddie Vedder: stessi accenti, stessa profondità vocale. Medesimi anche gli inizi, da frontman di due gruppi che, sul finire degli ottanta, puntavano a superare lo zozzume prodotto nel decennio appena conclusosi. Ma la Seattle di Nirvana e compagnia cantante aveva una marcia in più della Detroit dei fu Stooges e MC5 (strano come poi tutto si capovolga, vedi White Stripes), così che, mentre il leader dei Pearl Jam guidava il suo gruppo verso il successo planetario di “Ten” e “Versus”, il povero P.W., dopo aver sperimentato la forma-band (Mule) ed il duo (con l’ex Jesus Lizard Mac McNeilly), metteva la propria chitarra al servizio delle sole sue corde vocali, imbarcandosi verso una carriera solista dagli incerti esiti.
E così sarebbe andato avanti, se i tipi degli Shellac non l’avessero invitato all’edizione 2002 dell’All Tomorrow’s Parties, aprendo nuove prospettive alle sue pulsioni artistiche, da poco convogliate in “Remembered”. Dieci pezzi nei quali il cantautore americano trasfonde eleganza e ruvidità in modo brillante, e poco importa se l’originalità non fa parte della tavolozza di P.W., poiché il tutto suona così bene da essere familiare, quasi come se un disco di country rock non potesse che essere scritto così.
Curato nei suoni e negli arrangiamenti, “Remembered” funziona al meglio sia nelle ballate elettro – acustiche come ‘Better’ che nelle tracce più movimentate (‘Wreck’, l’iniziale ‘She’s Gone’), che rappresentano la spina dorsale dell’album. Ma è il sapiente mix di ritmi ed atmosfere a farne un lavoro gradevole, che, pur collocandosi in un filone i cui confini sono stati (da altri) tracciati da tempo, si rivela una bellissima sorpresa. Per tutti i fan delle sette note a stelle e strisce.
Autore: Andrea Romito