Un album come “We sweet blood” (Bad Taste, 2003) è probabilmente il migliore finora prodotto dal gruppo di Toronto, guidato dal cantante e chitarrista nero Danko Jones. Un concentrato di rock altamente energetico e sanguigno, di matrice hard seventies, punk e blues, con richiami espliciti all’hard rock di AC/DC, Kiss e Motorhead, al punk anni ’70 e al punk/hard & garage più recente (Hellacopters, Hives). “Sleep is the enemy”, il terzo lavoro della band canadese (se si esclude la raccolta “I’m alive and on fire”, contenente le loro prime pubblicazioni, nelle quali Danko Jones somigliava ad un Jon Spencer in versione hard rock), mantiene salde quelle coordinate sonore – con un maggiore risalto, però, della componente hard rock – ma in alcuni episodi (specie nelle imbarazzanti “Don’t fall in love” e “When will I see you”, in “Time heals nothing”, con i suoi brutti innesti elettronici) strizza l’occhio a un rock spudoratamente commerciale, a tratti stucchevole. L’album contiene le ottime “Sticky situation” e “She’s drugs”, vanta pure la presenza della voce calda e ruggente di John Garcia (nell’assalto hard/punk di “Invisible”, che ricorda i Kyuss di “…And the circus leaves town”), ma è su un livello decisamente inferiore rispetto al ben più ispirato “We sweet blood”.
Autore: Gabriele Barone