Musica ottimistica? E’ possibile, forse, come quel “migliore dei mondi” sotteso, per definizione, all’ottimismo. Non parliamo di musica allegra, ma di musica che accenda una luce, forse fioca, indefinita per distanza e consistenza, e che sappia rilanciare, su un piatto di gioia poco generoso, una puntata fatta di piccole, grandi speranze.
L’aria che si respira dalle parti di John Ringhofer – polistrumentista responsabile quasi unico di questo progetto, già al suo terzo album sempre per la label del Wyoming cui piace “farsela” a San Diego – è quella di chi si è fatto carico, in un contesto missionario (in senso letterale), di chi ha saputo attribuire un ruolo a persone situate al “ground-zero” dell’entusiasmo attraverso la diffusione dei valori cristiani, evidentemente funzionalizzati e adattati alle difficoltà del mondo e quindi spogliati di orpelli dogmatici inadeguati. Date un’occhiata alla cover art e troverete tutto questo: facce serene rinsaldate da principi condivisi e accettati, moderni yogi comunitari e cristiani.
E di cristiano ci sono anche i versi della Bibbia rivisitati, più tutta la “cricca” che poco alla volta, e con discrezione, ha saputo, se non ritagliarsi un genere, dare al pop una direzione inedita e innovativa, lasciandone intatte le prerogative di fruibilità: Sufjan Stevens, Daniel Smith (di Danielson Famile, Bro. Danielson e della label Sounds Familyre). Potremmo chiamarlo “gospel bianco”, se volete: voci che si intrattengono su tonalità alte (come già visto nel caso di Smith), melodie elementari inframmezzate – nonchè fornite di continuità – da cerniere “sperimentali”, cori squillanti, un senso di immediatezza che scaturisce da brani che si spingono pochissimo (16 in poco meno di mezz’ora) oltre il proprio nocciolo essenziale. Come se i Beatles di “Sgt. Pepper” fossero stati arruolati nella banda dell’Esercito della Salvezza: riuscite a resistere?
Autore: Bob Villani