Tutti bravi, ragazzi. E oso parlare a nome del Faber. Nel lavoro di “covering” delle perle deandreiane i nomi che non contano battono i volti da classifica – intervenuti illo tempore per il tributo “Amico Fragile” – per l’originalità delle soluzioni in una sfida che non c’è (e non ce n’è mai stata l’intenzione).
La rivista anarchica “A” pubblica il quarto episodio di una serie dedicata al cantautore genovese. Dopo il dossier, le tracce inedite dei live, il dvd, ora è la volta di “Mille Papaveri Rossi”, grappolone di cover (ben 37!) suonate dall’underground della musica nostrana, il cantuccio sicuro in cui ancora fa festa la creatività. Che poi non si può neanche parlare di cover: le canzoni di De André infiorettate da nuovi arrangiamenti, trasposte in dialetto, ululate alla luna, sono di chi le canta, sciolte dai copyright, donate dal poeta a chi ne farà buon uso.
Tutti bravi, ragazzi. Chi più chi meno. L’Estorio Drolo interpreta “Il Suonatore Jones” stornellando nel vernacolo di Cuneo, proprio come avrebbe fatto un vero busker di strada; Alberto Cesa incalza con tono minaccioso in “Maria nella bottega d’un falegname”; Stefano Santangelo lascia suggestivamente alle corde della chitarra il compito di narrare “Il Pescatore”; i torinesi Gatto Ciliegia con la featuring di Stefano Giaccone accostano strumenti classici a “sciami d’insetti elettronici” per l’ipnotica “Ho visto Nina volare”. Ancora: Eire Nua canta “Geordie” in inglese ed è pelle d’oca; penicillina rock dei Frontiera per “Nella mia ora di libertà”. Rispetto all’originale di “Hotel Supramonte”, non cambia quasi niente invece Franco Fabbri, ex Stormy Six, e in questo caso il paragone con i toccanti sussurri di Fabrizio (che scrisse questo brano in memoria del sequestro) è davvero troppo pesante. Paolo Capodacqua ne firma due, con estrema bravura, “Morire per delle idee” e “Un malato di cuore”. L’Ensemble Laborintus va nel recitato per “La Canzone del Maggio”. Menzione speciale: “Girotondo” è affidato alle cure della Spoon River Band che la butta egregiamente sul tono da carillon, con controcanti e doppie voci, ottavini , flauti, insert di fantasia. Ne risulta un’interpretazione spettacolare, che finisce vorticosamente coi motivetti delle fisarmoniche da sagra paesana!
Marco Pandin scrive a nome di ognuno dei musicisti partecipanti: “si è fatta festa con Fabrizio e per Fabrizio, segno esplicito che le sue parole sono arrivate dritte in fondo al cuore senza fermarsi a galleggiare in superficie”.
Nessuno si è voluto cimentare con “Via del Campo”: ci prova il sottoscritto, in questo momento, mentre batte quest’ultima riga di recensione, con la giusta stonatura e l’inevitabile lacrimuccia.
Autore: Sandro Chetta