Alfieri del rock a basso volume, ma non chiamateli new acoustic. Anche se il feel è abbastanza simile, la band di Bristol non stacca la spina dagli ampli, giocando molto, col livello dell’output ben sotto controllo, sull’intensità, il timbro e la “cromaticità” dei suoni, oltre che, in via però sussidiaria, su questi ultimi. Una caratteristica, questa, che allinea trasversalmente i Movietone a band come Pram e Broadcast (più “bizzarri” i primi, più electro-crepuscolari i secondi, entrambi grandi “utenti analogici”), secondo un disegno in cui il sound – aiutato, in tutti e tre i casi, da una voce femminile fioca, lontana, quasi atona – sembra fuoriuscire a fatica dai solchi del disco. Una sorta di espressione musicale discreta, fortemente tinta di malinconia, come quella che – nel caso dei Movietone – più di ogni altra suggestione possono evocare le spettrali coste britanniche, sotto perenne schiavitù di freddo e senso di abbandono, venti e salsedine. Nonché dichiarata fonte d’ispirazione di Rachel Brook & soci.
Sembrerebbe il caso di tirare in ballo la parolina “folk”, se non fosse per l’abuso indiscriminato che se ne fa e per la sostanziale estraneità dei componenti – nelle loro passate, e parallelamente in corso, esperienze – ad esso. Il trademark sonoro allora resta senza dubbio il post-rock ultra-slow (Bristol, guarda un po’…), la band, con quasi un decennio alle spalle, ha saputo via via insinuare la propria curiosità in altri territori, così che “The Sand and the Stars” può annoverare, col contributo di strumenti come clarinetto, tromba, fisarmonica o banjo, qualche ben riuscito transito in atmosfere da camera – ove non da meste orchestrine di strada – nel bluegrass (pur sempre bagnato di onde marine, magari, come il finale di ‘We Rode On’) e finanche nella samba (esplicito – ‘Beach Samba’ – pur se molto “personale”), che rappresenta un deciso fattore di evoluzione rispetto al – pur buono – precedente lavoro “The Blossom Filled Street”, tendenzialmente appiattito, nella sua seconda parte, su “indugi” ambient talvolta eccessivi.
Se poi vogliamo una foto d’insieme della parabola creativa dei Movietone (che prendono il nome dal primo sistema cinematografico di registrazione dei suoni direttamente su pellicola), ecco qui a disposizione il loro primo omonimo album, fresco di ristampa da parte di una sussidiaria scozzese della Domino con l’aggiunta di 3 tra singoli e b-side di questi e un inedito. Correva il 1995 e i primi vagiti della band bristoliana si “accontentavano di un drone-rock più guitar-based (ma fiati e piano già allora non mancavano), meno elaborato nelle sfumature dei suoni (come anche la no eccelsa registrazione testimonia), ugualmente “risicato” nelle parti vocali. Free noise che non t’aspetti nel singolo ‘Orange Zero’, free jazz nell’altro singolo ‘Mono Valley’. Più Slint che shoegazer. E tante buone potenzialità, in parte già espresse, in parte serbate per il futuro. Senza andare deluse.
Autore: Roberto Villani