Arriva fresco con il 2009 il quarto album solista di Andrew Bird, cantautore di Chicago multi-strumentista già conosciuto per le sue prove con la band The Bowl of Fire. e per le collaborazioni con Martin Dosh e Ani di Franco. Come nei precedenti lavori, anche in questo Noble Beast Andrew lascia da parte il rock fatto di basso e chitarre elettriche e mette in scena la sua capacità di cimentarsi con diversi strumenti (dal violino ai sintetizzatori) e diversi generi musicali: l’inizio, ad esempio, è conutry-pop, con Oh No, leggera melodia a base di acustica e fischiettate, e Masterswarm, un po’ più intensa ma sempre vicina al pop. Propriamente folk invece è Fitz & Dizzyspells, allegra e ritmata, gioiosa e veloce come le cantate al camino, mentre un velo di malinconia musicale già compare in Effigy, e ritorna in Tenuousness, soffusa cantata notturna, che fa da preludio al pezzo forse portante dell’album, Nomenclature, dove si ha una svolta improvvisa (ma non sorprendente per chi conosce i precedenti album dell’autore di Chicago): la batteria elettronica e il ritmo petulante introducono una canzone stile Radiohead cantata peraltro con parti di falsetto alla Tom Yorke. L’album sembra voler seguire questa svolta, perché Not a Robot but a Ghost è un’altra canzone al computer, altrettanto alienata della precedente, ed efficacissima nel suo genere.
Altro cambio di direzione e si ritorna alla chitarra acustica, con Anonanimal e Natural Disaster: ma questa volta è puro folk-rock contemporaneo, triste e lento, con arpeggi di chitarra e poco altro a far da condimento se non il controcanto femminile. Ancora acustica introdotta da una cupa grancassa è poi The Privateers, e sempre acustica ma più tradizionale è Souverian, con cui l’album si conclude (escludendo i pezzi-intervallo come Ouo e Unfolding fans). Variazioni, sorprese, sperimentazioni ma sempre molto melodiche, anche se magari manca il vero e proprio pezzo-capolavoro: questo è l’ottimo Noble Beast, che riconferma Bird cantautore di talento ormai consolidato, che si muove fra Beck (un Beck però più attento alla melodia e meno agli effetti shock) e reminiscenze Buckleyane, non disprezzando richiami all’elettrorock. riuscendo comunque (un po’ a fatica va detto) a ritagliarsi uno stile tutto suo.
Autore: Francesco Postiglione