Rispettando l’abitudine contratta negli ultimi anni, la band di Austin composta da Michael James al basso, Munaf Rayani e Mark Smith alle chitarre, Chris Hrasky alla batteria, pubblica a ben quattro anni e mezzo di distanza dal precedente Take Care, Take Care, Take Care il suo nuovo album, The Wilderness, sempre per la ormai fedelissima etichetta Temporary Residence Ltd, con cui sono diventati famosi nel panorama del post-rock.
Tra Take Care e The Wilderness, nel 2013 la band ha prodotto le colonne sonore di due film entrambi statunitensi: Prince Avalanche di David Gordon Green e Lone Survivor di Peter Berg. Null’altro in questi quasi cinque anni, se non un grande lavoro di studio con John Congleton, produttore di questo nuovo disco, con il quale il quartetto interrompe la tradizione che li voleva sempre produrre i loro dischi in autonomia totale.
Pur mantenendo fede alla loro ispirazione lirica di fondo, se in Take Care gli Explosions hanno cercato di essere più epici, con composizioni lunghe e altisonanti, qui in The Wilderness si fanno più esploratori e sperimentatori, cercando anche pezzi brevi e di maggiore rudezza: ne sono esempi The Logic of a Dream, splendida trasposizione in chiave sonora di quello che appunto vorrebbe essere un contenuto onirico, e il primo singolo, Disintegration Anxiety, esplorazione, come dice il titolo, di quella libido distruttiva che tanto spesso compare nei libri di psicanalisi. C’è dunque del freudiano in questo nuovo viaggio della band di Mark Smith, e la sfida è tutta nel trasformarlo in musica senza farsi accompagnare dai testi, fedelmente alla tradizione post-rock più pura. The Logic of a Dream in questo senso è esemplare, vera canzone manifesto delle intenzioni del disco, che naturalmente nell’inseguire la logica di un sogno non può che trasformarsi in composizione quasi-progressive, con cambi di melodia, di strumento e di ritmo, all’interno del pezzo.
Sorprendente rispetto agli stilemi classici del gruppo anche Disintegration Anxiety, soprattutto per l’intro, tutta di tastiere ed effetti: in entrambi i pezzi, in effetti, la chitarra di Chris non sembra la protagonista principale. Tuttavia qui la chitarra entra molto presto, e disegna una trama di note tremolanti, agitate, che solo verso la fine si placano nella solita esplosione lirica a cui i ragazzi di Austin ci hanno abituato.
Se seguiamo i titoli (unica traccia, in assenza dei testi) anche Wilderness, The Ecstatics e Losing the Light sembrano dedicarsi all’esplorazione dell’universo interiore, esattamente al contrario del precedente disco, che sembrava invece spaziare verso gli orizzonti siderali. Tuttavia questi tre pezzi sono decisamente e classicamente da collocare nello stile Explosions.
Colours in the Space, Landing Cliffs e Infinite Orbit sembrano invece recuperare l’esplorazione degli spazi esterni e abissali in cui ci si tuffava col precedente disco: Infinite Orbit è addirittura rassicurante nel consegnarci il sound più tipico di questa band, anche se in formato insolitamente “compatto” (dura solo 2:39 minuti), mentre Colours in the Space e Landing Cliffs rispettano perfettamente anche questa caratteristica, con i loro 6 minuti abbondanti.
Complessivamente, l’album conferma la capacità incredibile degli Explosions di elaborare veri e propri viaggi musicali, e li osanna ancora una volta, insieme ai Caspian e ai Mogwai (anche loro con un nuovo album uscito da poco, curiosamente), gli unici veri autentici esponenti attuali del post-rock a livello mondiale.
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autore: Francesco Postiglione