Dal Maryland, USA, i Wilderness danno seguito al disco d’esordio dell’anno passato, rinnovando il loro messaggio artistico teso drammatico, ambiguo.
Approfondendo, si può notare come i testi delle loro canzoni siano ermetici, volutamente lasciati in sospeso, ma ricevano dall’interpretazione molto sopra le righe del cantante James Johnson uno spessore che altrimenti in sè neanche avrebbero: concetti e frasi insistite che, urlate con quello stile patetico caratteristico della prima wave periodo 1979-83 , accennano chiaroscuri potenti, come nell’iniziale ‘The Blood is on the Wall’: “il sangue è sul muro, mentre le nostre ipotesi già strisciano via…”.
Beninteso, però: la voce sgraziata e punk di Johnson certo non piacerà a chi non apprezza le atmosfere acide e nichiliste di gente come P.I.L, Joy Division, Theatre of Hate; il consiglio per voi è di lasciar perdere ‘Vessel States‘ poichè i Wilderness non fanno esattamente pop e, malgrado la copertina fluorescente ispirata alla pop art, le loro composizioni restano in bianco e nero.
Musicalmente il quartetto riesce bene a creare la giusta atmosfera disturbata, monocorde e tesa, con un basso molto incisivo e chitarre elettriche acide e marziali che tagliano il silenzio come lamette. Apparte quest’atmosfera generale che funziona, talvolta a mancare sono però proprio le canzoni, e solo in un paio di episodi i Wilderness riescono davvero ad andare a segno: accade quando spingono la tensione al massimo ed è il caso, oltre alla citata ‘The Blood is on the Wall’, di ‘Gravity Bent Light’ ed ‘Emergency’. Qui la band scrive partiture convincenti, avvicinandosi infine ai grossi nomi dell’attuale revival anni 80: Editors, Organ, National Trust, Interpol, La Tigre. Tutta gente che ha fatto scelte decisamente meno rischiose dei Wilderness.
Autore: Fausto Turi