Vicini ormai a quasi quarant’anni di carriera, i Dead Can Dance possono permettersi qualunque scelta, qualunque esplorazione. Ecco perché con il nuovo album Dionysus, per etichetta Play It Again Sam, scelgono di offrire un lavoro complesso e anche a tratti artificioso, non suddiviso in tracks, ma in due atti, a sua volta scomposti in sette momenti. La scelta è di esplorare, come poi in fondo durante tutta la loro tradizione musicale, un repertorio profondamente popolare, attraverso la tecnica del field recordings, registrando così cantilene, alveari neozelandesi, il cinguettio degli uccelli dal Brasile e dal Messico e il belato di capre svizzere. La volontà di Brendan Perry è di celebrare le feste le feste del raccolto e della primavera tipiche della tradizione religiosa legata a Dioniso, una divinità greca non originariamente olimpica (non figlio di Zeus insomma) che non ha mai smesso di affascinare la cultura occidentale, dai Romani agli artisti rinascimentali fino a Nietzsche. Si va oltre il popolare, verso il bucolico, il primordiale, il pagano.
Non a caso la copertina celebra le maschere fatte dagli Huichol, una popolazione della Sierra Madre in Messico, nota per i riti sacri con il peyote. Dioniso vorrebbe assurgere in questo disco a simbolo di una intera umanità, al di là dei confini culturali, che si vorrebbe ancora legata e devota alla Madre Terra.
Le soluzioni tecniche dedicate a questa difficile scelta sono quella di creare atmosfere esoteriche attraverso le voci di animali e suoni dalle lande più desolate, e soprattutto sfidarsi a ripercorrere l’intero repertorio dei più impensabili strumenti popolari delle varie tradizioni planetarie, usare quindi strumenti di percussione tradizionali e popolari come il Daf (un tamburo iraniano) e il Fujara (flauto di pecora slovacco), o i Flauti Aztechi, il Davul, la Gadulka, la cetra.
In questo orgiastico trionfo di suoni e strumenti dal mondo, che crea un’atmosfera magica e ipnotica di cui davvero i Dead Can Dance sono maestri assoluti da sempre, Lisa Gerrard si ritaglia il ruolo di sacerdotessa musicale di Dioniso, cantando in cori e vocalizzi, ispirandosi al coro rinascimentale.
Con un progetto così complesso è difficile dunque rendere conto delle diverse tracce, o meglio dei diversi movimenti della linea musicale del disco: nell’atto primo si coglie l’arrivo dal mare di Dioniso annunciato da cori, flauti e percussioni in festa, a cui segue il momento di Dioniso Liberatore di Menti, salutato dalla Danza delle Baccanali.
Nell’Atto secondo, Perry vuole condurre l’ascoltatore a immaginare il Monte Nisa, il luogo di nascita di Dioniso, per poi coinvolgere nell’Invocazione, con il coro che presiede alla cerimonia del raccolto, e infine la perdizione nella Foresta, fino al movimento finale, Psychopomp, dove Dioniso viene celebrato come guida per essere condotti nell’al di là.
Il risultato è molto più di musica: Perry e Gerrard riescono letteralmente nei momenti migliori del disco a “drogare”, a inebriare l’ascoltatore, a proiettarlo in mezzo a onde d’oceano su spiagge desolate, o verso lande primordiali, fuori dal tempo e dallo spazio attuale. L’ascolto di Dionysus è esso stesso un rito, un sorso di peyote, un’orgia di musica. E’ davvero impressionante la potenza evocativa che i Dead Can Dance, maghi assoluti della world music mescolata alla psichedelia, riescono a raggiungere in questo disco, veramente opera definitiva della maturità artistica di una grande carriera.
Un disco così complesso era difficile da portare in tour: perciò forse Perry e Gerrard hanno preferito trasformare il tour di Dionysus in una celebrazione della loro carriera musicale: “A celebration of Life and Works 1980-2019” arriverà anche a Milano, il 26 e il 27 maggio a Teatro Degli Arcimboldi.
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