Italianissimo, Lele Battista. Il musicista della Mescal con la passione per la filosofia, e per la musica del compianto Syd Barrett (col quale mi pare può vantare una vaga somiglianza nell’aspetto…), dopo un passato ne La Sintesi esordisce qui come solista, e nella nuova veste si iscrive al florido cantautorato “colto” moderno in lingua italiana, che tra le file annovera anche Benvegnù, Basile, Donà, Parente, Chimenti, Lalli, Morgan, Consoli, Sauprel Scutti.
Mantenendosi Lele decisamente nel solco della tradizione rock nostrana, con composizioni mai azzardate e spesso di semplice appoggio alla sua voce discreta, pulita e ben in primo piano – come prepotentemente impone il mainstream nazionale – incastona le sue tastiere in una formazione chitarra-basso-batteria-synth e decide di puntare molto su atmosfere noir, tensione liquida e morbida psichedelia moderna, nonchè su strofe scritte di cesello con spessore e capacità descrittiva fuori dal comune, nonchè su ritornelli ariosi cantati anche a squarciagola, conservando buon gusto e necessario distacco.
Ricordate Lele Battista qualche anno fa al festival di Sanremo a capo de La Sintesi, con la canzone ‘Ho Mangiato la mia Ragazza’? Quell’ultimo posto in classifica fu un colpo letale per il gruppo, che si sciolse un anno dopo: ed è proprio l’autore, sul suo sito internet, a spiegare come è giunto a questo disco dopo un periodo di crisi interiore ed una successiva indagine su se stesso: < ad un certo punto ho cominciato a non capirci più niente, e questo pensiero ossessivo è sfociato in uno sforzo di ricerca e catalogazione delle Ombre, intese come riflesso e proiezione di pensieri ed azioni che faticano a venire alla luce; ho pensato che, visto che non riuscivo a guardare direttamente dentro di me, avrei dovuto scoprirmi, studiarmi, attraverso le Ombre. A questo punto la mente mi si è riaperta ed è nato il mio primo album solista, che ho chiamato, appunto, “Le Ombre”.
Così questa è una ripartenza, e bisogna dire che rappresenta un successo netto e meritato, per il giovane milanese; anzi: se non fosse per qualche eccesso di leziosità nell’arrangiamento di talune parti, e per qualche tappeto d’archi gratuito steso qua e là (il ricorso ad un’orchestra di 36 elementi, addirittura…), si potrebbe parlare di disco fenomenale.
Molto bella una canzone come ‘Quando mi Mento’, e molto originale ‘La Caverna’, in cui Lele affronta, partendo dalla sua formazione filosofica (Lele ha studiato filisofia all’Università di Milano, abbandonando senza tuttavia terminare gli studi) affronta il mito platonico della limitata condizione umana; buone potenzialità come singolo per ‘Amore Folle’ poi, ma in effetti è ‘Le Ombre’ la canzone manifesto del disco, in grado di confermare quanpo più su scriveva l’autore: “si tratta di capire che cosa ci separa dall’infinito; dovremmo cominciare cercando delle ombre…”.
Autore: Fausto Turi