Proprio non si può ascoltare questo disco senza avere la sensazione di avere tra le mani qualcosa di nuovo e prezioso.
Qualcosa mi dice di avere tra le mani un nuovo Mellow Gold (di Beck) o Machine are not she (dei Grandaddy) o qualcosa dei Flaming Lips e dei Pavement nel periodo di mezzo.
Qualcosa mi dice che se questo disco non rimane nell’oblio delle tante novità potrà essere un disco seminale, potrà lasciare una traccia, un segno. Perché c’è una leggerezza e una freschezza nel modo con cui queste diciassette canzoni sono state composte, suonate e registrate: una voce appena appena rauca e ubriaca, una chitarra acustica costantemente arpeggiata, sezione ritmica supportata da interventi di elettronica povera e percussioni acustiche, tastiere, fisarmonica e violino.
Per un po’ ho anche pensato di essere preso in giro, che quei cognomi: Boward, Hoffman, Howorth, Greenberg e Stratman nelle note di copertine (il package è fatto da un piccolo poster con due bellissime illustrazioni sui due lati) fossero falsi, che membri dei gruppi che ho citato si fossero chiusi in sala di registrazione, che si dovesse parlare di supergruppo: invece facciamo spazio agli The Robot Ate Me.
www.swimslowly.com.
Autore: Massimiliano Zambetta