Arrivati al loro nono album di studio più tre live e svariate compilation, singoli ed e.p., i My Morning Jacket di Jim James realizzano finalmente il cosiddetto album omonimo e chiamare un disco con il nome della band dovrebbe rappresentare sempre un momento topico. Lo è davvero per i My Morning Jacket? E’ sempre difficile rispondere per qualcun altro, ma solo considerando i necessari anni sabbatici della band più una pandemia di mezzo, anche senza ascoltare l’album, già diremmo di sì. Lo scriviamo da estimatori, certo, nonostante la critica non sia stata affatto tenera con questo disco, giudicando la formazione di Louisville un pò finita, riciclante se stessa e perfino buonista. Allora ascoltiamo il disco.
La traccia che lo apre, Regularly Scheduled Programming, nel suo primo mezzo minuto ci ricorda un grandissimo Mark Eitzel (American Music Club), altro personaggio e altra band che si fatica a pensarli come i primi della classe. Del resto la storia del rock americano che per noi più conta, è tutta fatta da personaggi così; i primi della classe sono sempre perfetti e precisi, costanti e noiosi, preferiamo i secondi o forse anche i terzi, discontinui, umorali e geniali.
Ci sono poi tracce come Love Love Love e Least Expected che lasciano godere di rinnovati ottimismi e frizzantezze, ed è subito America senza tempo: colorate istantanee di trafficate strade di grandi città in pieno giorno. E se un ‘tempo’ volessimo proprio darlo, pensiamo pure a certi ’70 e ’80 così vividi nella memoria da annullarne le distanze, da rendere le giornate eterne come in certe polaroid. Non mancano le ballad dei MMJ come In Color, con quegli sbuffi di soul, di shuffle, tracce adorabili di cui normalmente non ci fideremmo perché ti aspetti che prima o poi i MMJ in qualche modo le sporchino, cinici e sprezzanti come la vita. In questo disco però lo fanno un pò di meno, uno dei pochi che ci sia capitato di ascoltare nella categoria ‘during pandemic’ a ‘suonare’ così. Non pensatelo come un disco cui manchi nerbo, ascoltate la coda psych di Lucky To Be Alive, ascoltate Complex e sorprendetevi della sua evoluzione robusta e al contempo quasi scherzosamente zappiana e sorridete con i barocchismi esagerati di Never In The Real World.
Invecchiare con così tanta grazia è possibile solo concedendosi il tempo necessario che serve quando si comincia a tirare un pò di somme, e allora, forse per dire cose non serve più una lingua tanto complicata: The Devil’s In The Details per chi si vuole concedere il lusso di coglierli.
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autore: A.Giulio Magliulo