Forse c’è poco da dire su questa band di stanza a Brighton – ma originaria delle fredde lande del nor inglese. A un primo ascolto sembra l’ennesimo tentativo, da parte di una quasi major – che ha comunque portato ai nostri lettori ottime produzioni – di passare alla cassa senza farla troppo lunga su innovazione, originalità e tante altre “belle cose”. 20 e più anni fa, oltremanica, il punk sposò il pop e ne nacque la new-wave, e questi 5 oggi sono qui, ancora intenti a buttar riso su quelle nozze e a benedire la creatura. ‘It Ended on an Oily Stage’, opening track, sembra un compendio di quel modo di schitarrare, foriero di qualche graffietto all’ascolto, ma in fondo innocuo, “leggero” e tanto “di posa” come solo gli inglesi sanno fare. Quella voce, poi, sembra carpite dall’ugola di Bowie, e allora ecco che si chiude il cerchio col new-romantic chiamando in causa il padre, forse il nonno, di tutti quei languori e quel make-up. ‘Be Gone’, a seguire, è ancor più l’essenza di un sound così inconfondibilmente britannico – e anni 80, se il discorso è chiaro.
Poi d’improvviso i tempi accelerano bruscamente, e quella chitarra da echeggiante si elettrifica ulteriormente, diventa – sinesteticamente parlando – una scia luminosa, e comincia a ululare come una sirena della Polizia – quasi a voler ribadire il carattere fortemente urbano di questo sound. Stavolta in ballo ci sono i Buzzcocks, quelli di una volta (oggi stentereste a riconoscere in loro gli artefici di “Love Bites”, e me ne dolgo, ma gli anni passano per tutti…). Al mosaico del brit-sound mancherebbero ancora il tassello dream-pop dei Galaxy 500 e quello shoegazer dai Jesus And Mary Chain in giù. Non tardano ad arrivare neanche quelli, tranquilli.
Supposizione (passaggio alla cassa) confermata? In fondo oggi c’è roba ben più cool in giro – voglio dire, se l’oggetto dei desideri è un post-punk che dia un po’ di scossa, allora non è qui che dovete cercare, così come è più probabile che sulla strada di Manchester siano i “naturalizzati” Interpol a fulminarvi – benchè poco apprezzabili ed eleganti nel loro ciclostilare Ian Curtis e soci/discendenti. Resta da dire allora, dei British Sea Power, che britannici sono e britannici vogliono rimanere, senza mezzi termini, anche nel sound. Parliamo di materia pregiata, ok, ma l’anglocentrismo ha i suoi limiti. Da noi c’è un mucchio di gente che fa altrettanto, e raramente li trattiamo bene. Ci pensate voi a tirare le somme?
Autore: Bob Villani