Vi avviso, l’ascolto ripetuto del cd degli aretini Filofobia può avere seri effetti collaterali.
In una giornata della bella stagione, quando il caldo si prende una breve pausa e ha appena smesso di piovere, potrebbe venirvi la voglia irresistibile di prendere dall’armadio la giacca di velluto alla quale siete più affezionati e che il tempo ha deformato e reso tanto comoda, tirare la camicia fuori dai pantaloni, portare con voi l’ombrello ma di quelli arcobaleno che di questi tempi non si sa mai e andare. Fuori l’erba è ancora bagnata, le ultime nuvole filtrano una luce solare bianca: le sfumature dei colori della vegetazione spontanea sono meglio percepibili, tutto è meglio percepibile.
Non mi è capitato finora di trovare un gruppo che riuscisse a reinterpretare in chiave attuale e italiana gli stimoli di un certo pop e una certa psichedelica britannica degli anni ’70: Robert Wyatt, Peter Blegvad, Andy Partrige, il duca vestito da clown.
Come per le ultime cose di Paolo Benvegnù e Marco Parente, sarei pronto a giocarmi il cappello per questo disco anche nel resto dell’Europa, anche e soprattutto per quelle voci in italiano spesso in un falsetto appena sussurrato e in sovrapposizione un tono su e uno giù: io un po’ di copie a qualche etichetta straniera per una condizione le spedirei.
Autore: Massimiliano Zambetta