La fusione tra il jazz, il free jazz e il rock, quando è scevra dei manierismi propri ora di una “fusion” spesso autoreferenziale e attenta più a soddisfare l’ego dei musicisti e il loro virtuosismi, ora di una “forma libera” esasperata oltre il limite anche della pura sperimentazione, si mostra eccelsa, immutabile e trasversale forma d’arte. Ed è seguendo queste coordinate che con esattezza suona “Eye of I” (Anti) di James Brandon Lewis.
È d’obbligo partire dalla fine, con il brano di chiusura “Fear not”, in collaborazione con The Messthetics (la band strumentale formata da Joe Lally e Brendan Canty dei Fugazi), eccezionale composizione ed esecuzione in cui confluiscono umori e intenzioni, visioni tanto terrene quanto spirituali: totalizzante.
Rimettendo la puntina sul primo solco del lato “A”, dopo il “martellato” incipit free di “Foreground”, la splendida “Someday we’ll all be free” si stende tra multiformi atmosfere dominate da un perfetto tema. “The Blues still Blossoms” è notturna e straniante nella sua perenne “incompiutezza”.
I 47 secondi liberi di “Middle ground”, al pari della citata “Foreground” (42 secondi) e dei 28 secondi di “Background”, condensano il limite temporale entro cui Lewis argina il free jazz.
Nel brano eponimo “Eye of I”, la riuscita formula utilizzata per “Someday we’ll be free” si fa più aspra conservando il peso della straziante lacerazione della melodia.
Il soliloquio di “Within you are answer” è intimo e introverso anche nel progressivo “nervosismo” del dialogo con se stesso.
Di rilievo anche l’astratta “Womb water”, la cadenzata “Send seraphic beings” e la rituale e celebrativa “Even the sparrow”.
Con Lewis al Sax tenore, Chris Hoffman (Cello/Pedals), Max Jaffe (Drums/Sensory Percussion) e Kirk Knuffke (Cornet in “Someday we’ll all be free” e “Even the sparrow”.
In “Fear not”: Joe Lally (Bass), Brendan Canty (Drums), Anthony Pirog (Guitar) e Shahzad Ismaily (Moog).
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autore: Marco Sica