Porta un nome importante che richiama quello dell’architetto inglese Thomas Hopper che operò a cavallo fra 18° e 19° secolo ma, chiaramente, non ha alcun legame con il nostro Thomas Frank Hopper che, invece, è un giovane chitarrista belga, virtuoso del lapsteel e slide-guitar, con all’attivo un paio di EP e l’album “Bloodstone” che, solo ora arriva in Italia (versione Cd e vinile rosso marmorizzato), dopo un anno dalla pubblicazione all’estero.
Le belle parole già spese dalla stampa specializzata (definiti: il nuovo Robert Plant, ad esempio) lo ha portato presto ad essere al centro dello scenario musicale, ostentando un palese e cristallino talento. Scommettendo su se stesso (autoproducendosi il disco e mixato da Alexandre Leroy) propone un menù di una dozzina di canzoni, evidenziando influenze innegabili di Muddy Waters, Led Zeppelin, BB King, Rival Sons ma tutto ciò non rappresenta di certo un limite, poiché TFK sa far quadrare l’assetto compositivo con tutti i crismi del caso, legittimando il suo ambire anche a qualcosa di netto e personale. Premesso che la lapsteel è udibile in tutta la tracklist, l’esplorazione parte dal classic rock-blues della titletrack per poi “avvicinarsi” ai terreni più variegati di “Come closer” in duplice identità slow-fast, mentre in “Sweet black magic sugar baby” si colgono segnali di moderno blues niente male.
Tra le placide del reame, “Tomb of the giant” concede un respiro acustico di gran fascino, mentre l’eterea “Tatanka” pulsa con anima verace e la gran voce di Thomas, pronta a riaffermare il suo talento opalino. A (e)seguire, c’è anche la chitarra di Frederic Lani (famoso soprattutto in Belgio) a dar prestigio aggiuntivo nella grintosa “Bad Business”.
I singoli estratti sono due: il viscerale, Muddy Waters-iano blues di “Dirtylicious” ed il recente “Into the Water” che, attraverso lo scorrere di godibili assoli dipinge, con le note, il comune panorama esistenziale, fatto di fiumi complicati e rinascite inebrianti.
Vicini al traguardo, prima sferra il dinamico rock’n’roll di “Savages” e poi la chiude omaggiando delicatamente quella estasiante, stimolante ed ispirativa città chiamata “Mississippi”. Dunque, davvero nulla a che fare col suo illustre (quasi) omonimo di cui in premessa? Non proprio: anche Frank , con “Bloodstone” ha dimostrato l’estrosa arte di “architettare” un album talentuoso, rimarchevole per autenticità e purezza, senza ricorsi ad alcuna falsa diavoleria tecnologica: tutta farina del suo sacco. Allez Garçon !
https://www.thomasfrankhopper.com/bloodstone
autore: Max Casali