Sono lontani i tempi in cui le canzoni degli Arab Strap ci affascinavano per la loro forma approssimativa, per la malinconia espressa da quegli spleen alcolici e sbilenchi, per le strofe sbiascicate da Aidan Moffat sui ritmi spartani di una batteria elettronica precaria e i timidi arpeggi di chitarra di Malcom Middleton.
Ora gli Arab Strap suonano in tutto e per tutto come una rock-band. Hanno evoluto il loro linguaggio verso forme più compiute, privilegiando una forma-canzone che seppur codificata e più accessibile, non rinnega l’identità passata, né ha causato alcuna perdita di tensione emotiva e profondità nella musica dei nostri.
Le canzoni sono tese e corpose, le chitarre aggrediscono che è un piacere (“Stink”), il ritmo è spesso incalzante (come in “Speed date”, tra gli episodi migliori del disco, o in “(If there’s) no hope for us”), e trascinante (“Don’t aske me to dance”).
“The last romance” è una splendida raccolta di canzoni “pop” struggenti e vibranti (anche quando l’arrangiamento è spartano, come nell’intimista “Confessions of a big brother”), ballad da farsi venire i brividi (“Come round and love me”), orecchiabili e ammiccanti come non mai (“Dream sequenze” piacerebbe persino ai Coldplay).
Non si tratta di canzonette, non temete. E i toni sono scuri come sempre. Dal vivo probabilmente Malcom continuerà a tenere lo sguardo incollato sulla sua chitarra e Aidan continuerà a cantare aggrappato al suo microfono, scontroso come un orso.
Semplicemente, con un disco del genere, c’è il “rischio” che un pubblico più vasto si accorga della loro esistenza. Sarebbe ora.
Autore: Daniele Lama – daniele@freakout-online.com