Pronti a prendere la macchina del tempo e a rituffarvi in atmosfere rock che credevate irrimediabilmente perdute? Se la risposta è positiva, allora non mancate il contatto con “Love Comes Down” e lasciatevi trasportare dai Baby Woodrose in un universo rock’n’roll fatto di un sound corposo e allo stesso tempo venato di cangianti colori psichedelici, di ballate spezzacuori e brani dal tiro garage. Un disco assai atteso, dopo l’esplosivo “Money For Soul” del 2003, l’album che aveva svelato la grande forza espressiva del terzetto guidato da Lorenzo Woodrose. L’anno successivo “Dropout!”, un album di sole cover, serviva solo a smorzare l’attesa, come un gustoso antipasto. Adesso, dopo avere abbandonato la storica etichetta Bad Afro, creato il proprio marchio Spinello e raggiunto un accordo con la Playground, i Baby Woodrose ritornano a colpire nel segno con la loro magnifica formula sonora. Una miscela esplosiva, come dimostra l’open-track “What Ya Gonna Do?” che incrocia alla perfezione garage ‘fuzzato’ e rock’n’roll alla Rolling Stones con tanto di cori al femminile. La successiva “Found My Way Out” è una cavalcata chitarristica al contempo solare e crepuscolare, mentre “Kitty Galore” conferma il sound tipico della band, dalla ritmica possente e dal tiro garagistico.
Ma in “Love Comes Down” non mancano le ballate romantiche (“No Other Girl”), i viaggi al rallentatore nei meandri della nostra mente immaginifica (“Lights Are Changing”, “Roses” e la title-song), i brani in cui l’amore per il folk-rock alla Love si combina con trame lisergiche (“Growing Younger”, “Nobody Knows”) e la passione per il beat dei Sixties emerge con forza (“Chemical Buzz”). I pezzi migliori arrivano comunque quando il terzetto danese decide di pestare sull’acceleratore della propria formula garage-psych e regalarci piccoli capolavori di due minuti quali “Do Right” e “Born To Lose”. Pur allargando – e, a tratti, ammorbidendo – lo spettro sonoro della loro cifra stilistica, i Baby Woodrose in “Love Comes Down” trovano la perfetta quadratura del cerchio: vale a dire, evolversi nel solco della tradizione rock’n’roll, garage e hard-psych che li aveva resi un nome di culto nei circuiti undeground.
Autore: Roberto Calabro’