Ascoltando Without Religions dei Degada Saf, sembra di trovarsi in campo aperto, senza rifugio né modo di ripararsi, attorniati da bombe a grappolo. E’ questa la sensazione, da leggersi come qualcosa di positivo. Il disco, composto da 10 tracce, è una vera e propria continua esplosione che inizia con il brano che da nome all’album, Without Religions, (brano duro, compatto e che non da tregua per tutta la sua durata) fino a 2080, che con le sue atmosfere ambient al limite della new-age, rappresenta il silenzio dopo i bombardamenti. Ma tra l’inizio e la fine sembra di percorrere una strada scalcinata, punzecchiati da ogni dove da riferimenti synth-rock alla Depeche Mode come in Born to criticize o al limite della trance Sven Vathiana (basti pensare a White Body Love dopo il secondo minuto), che lasciano senza fiato, fino a toccare le sponde del trip-hop e della new wave italiana degli anni 80. Motivo di lode, indubbiamente, la capacità di essere riusciti ad inserire in un solo album così tanti generi diversi mantenendo una sorta di coerenza interna, e che questa sia melodica, strutturale o compositiva poco importa. Ciò che importa è che dopo i 45 minuti circa di Without Religions si sa di essere passati da ritmiche appartenenti alla più antica tradizione del big beat, fino all’industrial (No more reasons), senza dimenticare un paio di brani di Prodigyana memoria, come se niente fosse. Il tutto, ancor più importante, senza che le tracce stridano l’un l’altra e fino ad avventurarsi in alcune occasioni nel difficile mare del minimal, riuscendo però a mantenere la rotta. Elettronica di buon livello per i due trevigiani, dunque, capace di soddisfare anche i palati più fini che, anche se pecca leggermente di ricerca e non apporta molto di nuovo allo scenario musicale, riesce a donare parecchi bei momenti.
Autore: A. Alfredo Capuano