La poesia perennemente imbronciata del cantautore della Pennsylvania William Fitzsimmons, anche in questo suo nuovissimo disco Lions tiene banco, ma è un mostrarsi di quella mestizia dai colori della bellezza che pare importunare i molti detrattori che vedono in questo menestrello oscuro un copia & incolla di un Elliott Smith o – per definire bene la fisionomia artistica – un Nick Drake. E se i tanti bucolici colleghi grondano ottimismo da tutte le parti, lui espone un’intensità emotiva carica d’amarezza come a spegnere qualsiasi entusiasmo per una vita tutto sommata di trafila, e questa sfilza di brani fanno immergere in un ascolto quasi da “meditazione”, un volare a mezz’aria tra metamorfosi e carotaggi d’anima.
La dolcezza loner di “Brandon”, la brezza inaspettata “Fortune”, le corde acustiche che spasimano “Centralia”, “Sister” o l’alba di una giornata riflessiva “The lions” incantano in solitaria poi, un filo di voce e un fingerpicking delicato fanno tutto il resto, armonie e una poetica – che magari alla lunga potrebbe rischiare di confondersi in una foglia d’oblio – dalla cadenza notturna e pentecostale, ma è qui la credenziale massima che questo artista americano esporta fuori dalla propria mente, quel senso di abbandono color buio che affascina e protegge come un plaid in una notte d’inverno.
autore: Max Sannella
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