La base della loro musica continua ad essere il british blues dei primi anni ’70, non a caso in questo quinto lavoro i milanesi, omaggiano uno degli anni più importanti per il rock inglese di quel periodo. Tuttavia, come sempre lo fanno a modo loro, vale a dire destrutturando quei suoni, infilandoci deragliamenti vari, sconnessioni e ricostruzioni con frammenti di jazz e di elettronica. “Millenovecentosettantre” è in realtà un collage di suoni più o meno frammentati e spesso accatastati e messi là, in attesa di una rielaborazione, che invece i Bron Y Aur non vogliono fare. A loro, infatti, sta bene così, perché non ci tengono a concludere un pezzo nella maniera convenzionale del rock. Le tracce hanno un loro senso anche così sghembe. Molti brani affondano le radici nel blues, ma anch’esso, crescendo ha incontrato tante cattive compagnie da essere difficilmente riconoscibile, a meno che non ci si porga l’orecchio in modo molto attento. La filosofia e l’approccio che aleggiano in questo lavoro sono le evoluzioni sperimentali che sono partite dai Velvet Underground e sono giunte ai Sonic Youth, passando per gli ululati di Tom Waits, gli scossoni di Trent Reznor e l’essenzialità blues dei Twenty Miles. Il bello è che i Bron Y Aur non frullano tutte queste cose, ma al contrario le lasciano ben separate e raramente le mischiano tra loro, piuttosto che mischiarle, preferiscono metterle una dopo l’altra, proprio come uno strampalato collage.
Autore: Vittorio Lannutti