I nati nel 1997 oggi festeggiano la maggiore età. 18 anni, tanti ne sono passati dall’ultima volta che i Faith No More hanno pubblicato un disco: quell’ambizioso, già nel titolo, “Album Of The Year” del lontano 1997. Non esistevano iPod, iTunes e store digitali, non c’erano i social e nemmeno Youtube e Spotify. Troppe cose sono cambiate e pure velocemente. Ovviamente sono cambiati anche i Faith No More, chi più chi meno oltre la soglia dei 50 anni d’età. Mike Patton ha messo su qualche chiletto (ma non ha perso la voce), i dread di Mike Bordin sono diventati brizzolati. Siamo cambiati noi, chi li seguiva allora o chi li ha semplicemente sfiorati nella reunion del 2009, quando fecero tappa anche a Milano.
Ma quello che non è cambiato è il modo di fare musica di questi signori. Il loro istinto, la capacità di essere spiazzanti, di passare con facilità da atmosfere angoscianti a sfuriate elettriche, dalla melodia a deliri sonori.
“Sol Invictus”, senza girarci intorno è un ottimo disco, non di certo un’operazione nostalgia. Un lavoro maturo di chi tre decadi fa esordiva con “We Care A Lot” (1985) e dava vita a qualcosa di difficilmente catalogabile in un genere musicale. Cosa sono? Rock e funk, metal e rap, alternative, hardrock, crossover, nu-metal? Ancora oggi i Faith No More risultano poco codificabili (e menomale!). In “Sol Invictus” c’è tanta roba, anche qualche venatura più pop che in precedenza accennavano appena. Non manca la forza, quell’impatto sonoro che li ha sempre contraddistinti, tanto su disco quanto dal vivo. C’è maggiore esperienza e consapevolezza, ovviamente, senza però snaturare quella sorta di schizofrenia che da sempre ha alimentato le composizioni della band. E che si nota anche nell’artwork minimale, che riprende un’immagine di Ossian Brown (musicista e artista inglese, membro della band Coil and Cyclobe) autore del libro “Haunted Air”.
Registrato a Oakland e interamente autoprodotto dal gruppo californiano con la propria etichetta, la Reclamation records, questo “è un disco che alza il tiro”, ha affermato entusiasta il bassista Billy Gould che ne ha curato anche la produzione. “Sol Invictus” (il culto del Dio Sole) amplia ulteriormente gli orizzonti musicali dei FNM con arrangiamenti particolarmente curati e il piano di Roddy Bottum che si ritaglia un ruolo quanto mai prezioso e per certi versi inaspettato, in particolare in “Sunny Side Up”. “Motherfucker”, il primo singolo estratto, presentato lo scorso novembre in occasione del Record Store Day aveva già dato un piccolo assaggio di quello che sarebbe stato. “Superhero” (il secondo singolo) picchia dannatamente forte, così come – anche se con un mood differente – le varie “Cone of Shame”, “Black Friday” e “Matador”. Ma è il progetto nella sua interezza che funziona bene. 10 tracce per poco meno di 40 minuti, senza alti e bassi dalla title track iniziale alla conclusiva “From the Dead”, che segnano un ritorno in grande stile capace di cancellare quasi due decadi di silenzio discografico. Di sonno apparente, perché chi li cosce bene sa che non hanno smesso di fare musica. Patton, per esempio, ha collaborato con John Zorn, Björk e Morricone, portato avanti le sue creature ‘minori’ Fantomas, Tomahawk e Peeping Tom e addirittura fatto un disco di classici della musica italiana anni ‘50 e ‘60. Bordin ha preso parte a numerosi dischi e tour di Ozzy Osbourne oltre a suonare con Korn e Jerry Cantrell, Gould si è dedicato alla produzione artistica e fondato una sua etichetta.
Tante influenze, tante idee e stili differenti che finiscono inevitabilmente per dare forma e sostanza a questo atteso lavoro che fin dal primo ascolto mostra tutta la sua forza. La ritmica possente e ruvida del duo Bordin-Gould, ottimi riff di chitarra di John Hudson (lo stesso che già in “Album of the Year” sostituiva il mitico Jim Martin) e un Mike Patton superlativo che non ha affatto bisogno di mostrare quanto è bravo e folle. Ma si sente!
L’unica occasione per vederli dal vivo in Italia è il Sonisphere Festival a Milano il 2 giugno, dove si esibiranno, tra gli altri, insieme a Metallica e Meshuggah. Bentornati!
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autore: Umberto Di Micco