I Black Heart Procession, poco conosciuti in Italia al grande pubblico, sono al loro ottavo lavoro (tra ep e albums) dagli esordi del 1997 con Fish the Holes on Frozen Lakes, e tuttavia non hanno perso l’impronta che li caratterizza meglio, quella delle atmosfere da brughiera irlandese, fatate e incantate, a volte spettrali e funeree. Sin dai primi colpi di questo nuovo album, che significativamente si intitola The Spell, l’incantesimo, queste atmosfere che hanno fatto la nota distintiva del gruppo si notano subito. E’ la chitarra ruggente e graffiante di Pall Jenkins, anche vocalist del gruppo, a introdurci, con Tangled e subito dopo con The Spell, nel modo migliore all’interno del disco, e va detto che la title track rivela sin da subito i vertici più alti dell’intero lavoro. Qui i violini, il sintetizzatore, l’organo, il piano, i timpani, e tutti gli altri strumenti d’atmosfera suonati dagli altri membri, Tobias Nathaniel, Joe Plummer, Matt Resovich e Jimmy LaValle, funzionano alla perfezione allo scopo di calarci nel suono notturno e incantato del gruppo. La notte, l’impossibilità di controllare le proprie emozioni, i dolori d’amore e la perdizione del singolo e del mondo sono i temi affrontati anche negli altri pezzi trainanti, come The Replacement, Gps, The Fix, sempre con grande dovizia tecnica, mentre la voce volutamente stridula e gracchiante sembra evocare streghe e incantesimi che sono richiamati dal titolo del disco.
Meno riusciti sono forse i tentativi di sconfinamento nella ballata classica, lenta e malinconica, che pure sono presenti nel disco, testimoniati da pezzi come The Letter, Places, To Bring You Back, che però non possono dirsi tentativi riusciti. Qui è soprattutto la voce di Jenkins a lasciar desiderare, perché cerca di sostenere gli stessi toni dissonanti in pezzi che richiederebbero tutt’altra melodia e profondità di timbro. Se era un tentativo di saggiare un cambiamento di genere, possiamo dire che è un tentativo fallito, almeno per ora.
Meglio godersi allora i pezzi dalla dissonanza quasi “maledetta” come The Spell o The Replacement, o lasciarsi sorprendere da un caso unico del disco, Not Just Words, che si presenta ariosa, melodica, dinamica, solare tutto il contrario insomma dell’immagine del gruppo, ma che rappresenta stavolta una prova riuscita, perché è una melodia semplice, ben sorretta dal ritmo e dagli interventi di chitarra, su base di accordi di Re e Sol che la rendono vibrante e accesa.
Autore: Francesco Postiglione