Attivi da “sempre”, i fiorentini Del Sangre seguitano a improntare la propria arte rock roots “narrativa” in maniera estremamente viva, piena, una personale lettura vintage che si specchia nei riflessi degli anni 70 rock-cantautorali come in certi respiri alla Bubola, Gang, più in la un Faber, un’ insieme di continuità e ricordo che – nel loro nuovo disco Il ritorno dell’indiano – resta integro come una manciata d’atmosfere scaturite dal cuore.
Ed è stupendo sentire certi suoni, calori, timbri e palpiti in questo presente oscuro, stupendo rincorrere quello che la band fa ancora circolare fregandosene di strategie, diagrammi e rese trendy, uno schietto storyteller che gira sotto il lettore e parla, confida, tramanda storie e vecchi echi come un fratellone maggiore che ti indica la via del suono e la strada dove cercare “quello che eri”. Undici tracce, ballate, spasimi svisati elettrici Alza le mani, Gaetano Bresci, tremolii di leslie Successe domani, Gli occhi di Geronimo, riff scatenati alla Rats Fuori dal ghetto, una bella confezione d’ amarcord stringente che è il giusto contrasto tra migliaia d’ascolti uniformati.
A molti sembrerà strano, ma a suo modo il disco lascia un segno di sé.
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autore: Max Sannella