Questa band di Reggio Emilia è una vecchia conoscenza di Freakout. Abbiamo avuto la fortuna di conoscerli attraverso le selezioni di “Destinazione Neapolis” per il Neapolis Festival di qualche anno fa, e da allora non abbiamo mai smesso di considerarli come una splendida realtà del sottobosco musicale italico, di quelle che meriterebbero di essere conosciute ad un pubblico ben più vasto di quello dei semplici “addetti ai lavori”.
Ora arrivano finalmente al disco d’esordio (per la piccola indipendente Prismopaco), che non fa che confermare quanto di buono questi ragazzi avevano lasciato intravedere con le performance live e le prime demo auto-prodotte.
Un disco in cui convogliano molteplici influenze, rielaborate con consapevolezza e padronanza. Tredici canzoni arrangiate con cura, solidamente ancorate su strutture melodiche accattivanti, a presa rapida.
“Fire on my cheap sunburn” ricorda i R.E.M. più elettrici ed ispirati; nella malinconica “Sleeping awake” spuntano una chitarra in levare, una slide ed una tromba ad evocare paesaggi torridi, da spaghetti-western; ascoltando la scoppiettante “Honeymoon” si saltella tra il migliore indie-rock evoluto (quello di gente come dEUS e Shins, ad esempio) e spunti beatlesiani; il riff di “Chupacabas & Fries” sembra preso in prestito dai Jon Spencer Blues Explosion, ma poi nel brano spunta fuori un vibrafono ad ammorbidire i toni; “Fixing your head”, fantastica, è un piccolo capolavoro pop, come se gli Stooges fossero invitati ad un surf-party a casa di qualche college-band americana. “Garbage in space” è semplicemente una delle più belle ballad ascoltate negli ultimi tempi, tra la mestizia di “By this river” di Brian Eno e certe atmosfere alt-folk a stelle e strisce; “Atlantico” mescola bossa-nova sintetica, chitarre sognanti ed una voce da crooner tenebroso; in “Drum up” e “Move on up” i ragazzi cacciano i muscoli, tra riff hard-rock e umori seventies, mentre in “Hovercraft” suonano sbilenchi e bluesy come i migliori Gomez.
I rimandi, i riferimenti ad altre band, come si evince anche da questa recensione (in cui credo di aver battuto il mio personale record di “accostamenti” ad altri gruppi), ci sono. Ma si tratta di un citazionismo colto e mai “invadente”. Alla base di questo disco ci sono comunque idee chiare, ottime capacità compositive e notevole padronanza tecnica. Ma soprattutto, buone canzoni. I riferimenti colti, senza questi altri elementi, servirebbero a poco o niente. Quindi complimenti agli Stoop, capaci di confezionare un lavoro davvero notevole.
Autore: Daniele Lama