Settimo album per gli American Analog Set, prolifica e incostante line up di Austin che porta al termine una sorta di ideale “trilogia dell’amore” iniziata con “Promise of Love” e proseguita con “Know by Heart”, e lo fa con una nuova etichetta, la tedesca Morr Music – quella di Lali Puna, Populous e Tarwater, per intenderci. Il trasloco non influenza minimamente il sound del quintetto texano, che, anzi, sembra procedere col pilota automatico e senza troppa voglia di evolversi nelle dodici tracce di un lavoro che forse pecca proprio di eccessiva staticità.
Come si evincerà dal titolo, dell’amore qui si racconta la fine ma sopratutto il superamento, quando, bypassata con eleganza la fase della separazione “Play hurt”, si guarda avanti e si cercano gli aspetti piacevoli della solitudine, ammesso che ve ne siano. Chiariscono il concetto titoli come “Theme from” “Everything ends” e “Fuck this… I’m leaving”.
La musica è quella di sempre, incentrata sulla ripetitività stabilizzante di chitarre in loop e arrangiamenti volutamente sottotono, sulle sonorità di un pop folk dimesso e dilatato, sulla voce monotona di Andrew Kenny. Beh, detta così sembra una noia mortale, certo, e non si può onestamente dire che dopo il primo ascolto ci si ritrovi a cantare le melodie sussurrate di “Immaculate heart 1 & 2” o che ci sia davvero in tutto il disco un momento davvero incisivo. Non era questo l’intento degli AmAnSet. Piuttosto, traghettarci attraverso l’autopsia di un rapporto sentimentale con il distacco che s’impone allo scienziato. Senza sobbalzi, senza coinvolgimenti, senza particolari sofferenze ma anche, questo sì, senza gioia. E allora è perfetta la cover dei Codeine messa proprio in mezzo alla scaletta, prima dei brani meno rallentati (dire veloci è davvero azzardato), in quella che, secondo il concept iniziale, corrisponde alla lenta convalescenza del distacco. Bella ed eterea anche “Sharp Briar”, tastiera basso e voce all’unisono e atmosfera rilassata. Quando, invece, si cerca di vivacizzare il quadro, arrivano brani come “The green green grass” e “First of four”, ma fuori tempo massimo e con il solo spiacevole effetto di spezzare una monocromia tutto sommato intrigante.
Autore: Rino Cammino