Lo ammetto, ascoltare quest’album in una Parigi che si fa sempre più autunnale e piovosa, camminando in un luogo che senti tuo solo in parte, ti mette, in certi casi, in uno stato d’animo malinconico dal quale non vorresti uscire più. Quest’album d’esordio di Mumford&Sons è uscito in un periodo perfetto, diciamoci la verità. Sappiamo bene quanto valga un buon packaging per vendere un prodotto e sappiamo bene anche quanto sia importante azzeccare il periodo di uscita di un album per renderlo, per rimanere in termini di marketing, appetibile. Ecco la Spin-go ci ha preso in pieno. Autunno, con momenti che ricordano l’estate e altri che ti avvisano che l’inverno sta arrivando.
Ma limitarsi alle temperature e al meteo sarebbe non dare merito a un album che suona veramente bene, ascrivendosi a pieno nel filone ormai non più di nicchia del nu folk britannico (Noah and the whale), strizzando l’occhio a grandi gruppi folk americani come Crosby Still Nash, come suggerisce la cartellina stampa.
I colori caldi del folk e il freddo della malinconia che in certi punti ti assale e ti si appiccica addosso come una coperta calda, fanno di questo album “Sigh no More” un vero gioiellino, uscito dalle mani di Marcus Mumford, Winston Marshall, Ben Lovett, Ted Dwane e del produttore Markus Dravs (Arcade Fire, Bjork, The Maccabee’s).
“Sigh no more”, la title track comincia con un un coro e si sviluppa chitarra e banjo in un crescendo continuo che fa ben sperare e le promesse vengono mantenute alla perfezione da “The Cave”; “Winter Winds” e “Roll away your stone” sono molto americane in stile Calexico, canzoni ad ampio respiro, che riprendono nella seconda parte di “White blank Page” e fanno da contraltare alla più intimista “I Gave you all” che comincia rilassato con banjo e chitarra acustica per ravvivarsi (ritmicamente) nel finale. “Little Lion man”, singolo dell’album, ha, invece, più accentuate varianti country (ricordano i nostri Gentlemen’s Agreement in alcuni punti), mentre dopo si continua col folk più melanconico con “Timshel” e “Thistle & Weeds”, ancora più cupa della precedente sebbene il testo abbastanza cupo si chiuda con una speranza e un consiglio. L’album si chiude con la perfetta (anche nel titolo) “After the storm” La melodia del gruppo continua a farla da padrona, anche grazie alla bella voce di Mumford. Un sound che spazia nelle diverse sfumature del folk, senza mai perdere un colpo. Riprende e mescola, ridando anima agli stilemi del folk-che-ci-gira-intorno. Veramente un gran bell’album!
Autore: Francesco Raiola