A dispetto del nome, Bob Moses non è un singolo artista ma un duo elettronico canadese, di Vancouver, composto da Tom Howie e Jimmy Valance, che nella scelta del nome hanno deciso di omaggiare un famoso architetto di New York, la città dove in effetti il duo si è costituito artisticamente dopo essersi formato alle scuole superiori. Dopo l’EP Hand to Hold del 2012, e l’esordio positivissimo con il primo album Days Gone By (2015), il cui primo singolo Tearing me Up è stato remixato da RAC vincendo un Grammy per il miglior remix non classico, tornano adesso per il disco di conferma con Battle Lines, sempre per etichetta Domino, che li ha scoperti e lanciati.
L’album si arricchisce della presenza del co-produttore Lars Stalfors, che ha all’attivo collaborazione con Cold War Kids, Local Natives e HEALTH, e questo fa fare una svolta sonora al disco.
Le linee di battaglia evocate nel titolo, che Howie definisce “gli sforzi o le battaglie che tutti facciamo, battaglie interiori, o l’uno con l’altro o con la nostra società”, conducono il duo a un minore sperimentalismo elettronico, e a una sonorità che sa più di canzone, di band, di composizione completa elettro-pop, con reminiscenze che vanno dai New Order ai Keane ai Depeche Mode. E’ decisamente un disco molto più pop, più orecchiabile, basta sentire l’intro della prima traccia, Heaven Only Knows, che a parte gli archi di sottofondo è totalmente un vocalizzo pop, fino all’incursione dei bassi e poi della batteria elettronica. Anche Battle Lines e soprattutto Back Down sembrano direzionare il disco decisamente verso un prodotto facile, da dance-floor, ma per fortuna è solo un’impressione. La verità è che l’album è molto vario, e svariate sono le sonorità anche all’interno dello stesso pezzo. L’intro di Battle Lines è rock-pop, per svoltare poi verso accordi a là Depeche Mode, mentre l’intro di Back Down è totalmente dance. Eye for an Eye, pur rimanendo nel solco del pop, è una svolta cantautorale, e qui per la prima volta emergono le grandi qualità melodiche della voce di Howie, che si confermano poi potentemente nella splendida Don’t Hold Back, decisamente il pezzo migliore del disco. The Only thing I Know ritorna all’atmosfera dance dalla strofa cantilenata, ma è solo un’impressione iniziale: siamo ormai a metà disco, e arrivano improvvise le chitarre elettriche. La chiave musicale è ormai svelata: i Bob Moses hanno scelto più la cura del componimento totale che non l’uso dei synth, degli effetti, dei remix, dei loop: questo rende i loro pezzi decisamente più “già sentiti”, al limite del commerciale (in cui si scade per esempio con Nothing But You), ma valorizza di più la voce di Howie, il talento melodico nella scelta degli accordi, il valore della canzone nel suo complesso.
E non basta, perché è la seconda parte del disco a offrire le migliori sorprese: oltre alla già citata Don’t Hold Back, splendido momento di chiusura che si eleva ben oltre la qualità totale del disco, Enough to Believe, Listen to Me, Selling Me Sympath, e la ballata conclusiva e oscura Fallen From Your Arms, pur non abbandonando l’impostazione pop si sforzano di elevare le sonorità a qualcosa di più di un pezzo da sottofondo per autoradio.
Alla fine, la sensazione è che il disco soffra ancora di un qualcosa di non risolto, per lo sforzo di Howie e Valance di voler trovare un impossibile equilibrio tra le basi dance, il ritmo pop, e un’evoluzione più cantautorale stile elettrorock anni ‘80. Qualcosa che si risolve in maniera riuscita e vincente solo in pezzi isolati (Listen to Me, Don’t Hold Back, Fallen From Your Arms), e soprattutto grazie alla voce di Howie più che non alla sapiente gestione del computer, ma lascia il segno di sé come sforzo creativo, e quindi apprezzabile, per tutta la durata del disco.
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autore: Francesco Postiglione