Difficile descrivere un disco così. Almeno quanto spiegare a qualcuno perché ci commuove tanto una scarpa piantata in mezzo alla strada – ritrovarsi a immaginare il percorso che l’ha portata fin lì, ferma e dignitosa nella sua solitudine, percorso fatto di separazioni dolorose, di sbronze o semplicemente di piedi troppo gonfi. Questione di stati d’animo. Ecco: questo disco è uno stato d’animo. Essenziale e lacerante. Ché le canzoni, qui, sono tutte un po’ uguali, la malinconia di fondo non sublima mai nel dramma dei sentimenti vivi, non deraglia di un millimetro dal suo percorso monocorde, dal suo ondeggiare ripetitivo. Questo disco è anche un documentario sociologico che fotografa Olathe, una delle città più squallide e banali del Kansas, vale a dire una delle città più squallide e banali degli Stati Uniti. Parcheggi, case popolari e bambini cresciuti all’ombra di un Wal Mart e adulti senza più illusioni incatenati alla paga miserabile di un Wal Mart.
Bryan Zimmerman (nomen omen) racconta con voce filtrata e radiofonica lo spleen della sua città natale (“Friday night’s just a silent scream / and this town is good at muffling”) e lo fa con una sincerità disarmante che lo avvicina più allo storytelling di Tom Waits che non alle trasfigurazioni oniriche di Devendra Banhart o alla geniale follia bucolica di Sufjan Stevens, tanto per fare due nomi à la page dell’american folk, sia esso “new”, “pre-war” o che dirsivoglia. Perché questo è un disco post-. Postrock, postfolk, postqualcosa, post-tutto. Postmoderno come un racconto di Pancake, costantemente in bilico tra asciuttezza narrativa e struggente evocatività. Passando alle canzoni (perché è di questo che stiamo parlando), immaginate i Dirty Three senza la furia di Warren Ellis, chitarra elettrica, organo, violino e pianoforte (affidati alle mani poliedriche di Laura Ortman) a irretire il diario dei pensieri. Pensieri declamati con la prosa monotona e dimessa di Zimmerman, cui fa da contrappunto melodico quella di Ken Switzer; di tanto in tanto spruzzate di samples a definire un’estetica lo-fi suggestiva e funzionale a un lavoro che deve programmaticamente suonare come “fatto in casa”, con tanto di rumori, telefonate e cinguettii catturati in presa diretta. Tutto qui? Sì, tutto qui. Forse è poco, ma è un poco capace di riempirvi la giornata.
Autore: Rino Cammino