Ok, il personaggio non è dei più simpatici. E siccome si può fare senz’altro buona musica senza finire sulle pagine dei tabloid inglesi tutti i giorni, è probabile che gli amanti della buona musica approcceranno con qualche pregiudizio all’album da solista di Pete Doherty, che finora ha fatto più notizia per i suoi scandali a colpi di droga e ammiccamenti con Kate Moss che non per la qualità dei suoi successi con i Babyshambles (che da noi in Italia non sono nemmeno mai arrivati nelle grandi stazioni radiofoniche).
E tuttavia, dobbiamo concedere il beneficio del dubbio anche a lui, e allora magari Grace Wastelands ci riserverà qualche piacevole sorpresa.
Lo è sicuramente Last of the English Roses, seconda track dell’album e primo singolo, vera a propria chicca dandy-punk in pieno stile Libertines, o Broken Love Song, scritta insieme con il poeta Peter Wolfman. Si potrebbero aggiungere due o tre ballate acustiche in stile cantilena giullaresca, come Arcady, o A Little Death Around the Eyes, o 1939 Returning, o ancora la gustosa New Love grows on Trees, ma anche solo queste, pur dimostrando che l’album non è una copia dei lavori incisi con Libertines e Babyshambles, non basterebbero affatto a far gridare al capolavoro.
Il punto è che poi di canzoni nel disco ce ne sono altre otto, sempre tutte in chiave acustica o semi-acustica, e la sensazione di ripetizione, di noia, di poca inventiva, di inutilità in fondo, cresce sempre più man mano che l’ascolto va avanti, nonostante la collaborazione di Stephen Street e di Graham Coxon, chitarrista dei Blur.
La domanda che a questo punto ci si pone, e già ce la si pone sempre di fronte a lavori solisti di membri di gruppi noti, è: tutto questo era necessario? Non si poteva continuare a produrre canzoni per i fan (bontà loro) con la sigla Babyshambles o Libertines, tanto più che molti dei membri della band figurano in questo disco come musicisti o co-autori?
Autore: Francesco Postiglione