La musica dei Macaco si rivela da sé anche solo guardando la composizione della band: la regia di Dani Carbonell detto “el Mono Loco” viene dalla Spagna, mentre le chitarre di Martin Fucks sono dell’Argentina, Carlos Jaramillo e Beto Bedoya sono colombiani, Fran Beltrán e Didac Fernández sono spagnoli, e infine Sebi Suarez viene addirittura dal Camerun mentre Sandro Dos Santos viene dal Brasile. Un’orchestra del genere che raduna tre continenti non può che portare intanto il segno inconfondibile del sound latino, misto a ritmi di percussioni africane e a un’ispirazione di World Music che ricorda gli analoghi tentativi di Manu Chao, a cui inevitabilmente comparerete le canzoni dei Macaco appena ascolterete l’ultimo album Puerto Presente.
Proprio la prima canzone, Puerto Presente, più di tutte ricorda melodie e sound a cui ci ha abituato il cantante dei Mano Negra. Ma per il resto non bisogna lasciarsi confondere da facili assonanze: l’album scorre lungo il segno di una tradizione di latin music più marcata, meno contaminata, e alcune ballate acustiche sono un vero e proprio recupero della tradizione spagnoleggiante, appena innovate dalla presenza (lieve) di effetti di mixer e sovraincisioni che le rendono più vicine al nostro gusto per le contaminazioni.
L’inizio è davvero scoppiettante, considerando anche la seconda track Tengo, e poi il singolo di lancio Moving, anche questo molto stile Manu Chao. Ma è a questo punto che poi il gruppo di Barcellona si muove verso sonorità magari più intime e melodiche, più tradizionali, con Amor Marinero, e Mensajes del Agua, per rilanciare poi ritmo e facili cori collettivi con Aguita e El Son de la Vida, seguiti da un’altra canzone in inglese, No Love.
L’album, complessivamente di buona fattura, mantiene il marchio di fabbrica di questo vivace e dinamico gruppo, dopo El Mono En El Ojo Del Tigre (1999), Rumbo Submarino (2001), Entre Raíces Y Antenas (2004) e Ingravitto (2006), e sembra un viaggio nelle terre latineggianti, Africa e Sud-America comprese, con il calore che le chitarre classiche ovviamente sovrabbondanti possono comunicare, a cui si aggiunge una spumeggiante voglia di divertirsi suonando che traspare ad ogni nota. Anche solo per questo è un esempio di bello stile musicale.
Autore: Francesco Postiglione