Il look industrial/hardcore di David Tibet – tatuaggi, capelli rasati, guanti di pelle nera, sguardo da folle – decisamente stona con la lenta e mistica musica acustica cui il musicista anglo-malesiano oggi si dedica.
Quando poi, nelle interviste, inizia a delirare circa l’imminente fine del Mondo, l’avvento dell’Anticristo e il ritorno di Cristo, le forze del Bene che a giorni sconfiggeranno il Male e della necessità di pentirsi dei propri peccati per salvarsi il culo prima che sia troppo tardi, beh, io non so proprio cosa pensare.
Certo è che questo nuovo CD dei suoi Current 93 – collettivo aperto alle collaborazioni più svariate in giro dall’inizio degli 80, con circa 20 dischi alle spalle – già dal titolo promette temi biblici a piene mani, ed infatti, traducendo per voi le parole di David dal suo sito internet: “I testi per questo album li ho realizzati seguendo le immagini di un intenso sogno che feci, riguardo navi nere che giungevano a solcare i nostri cieli in preparazione della seconda venuta di Cristo. In sogni successivi io vidi facce geometriche, colori, parole e forme cadere nella mia mente (…); cominciai a scrivere furiosamente, ed i testi di ‘Black Ships Ate The Sky’ sono la testimonianza di quel periodo della mia vita”.
Questo disco di ben 75 minuti e mezzo prevede in formazione i due fidi Michael Cashmore e Ben Chasny, e conta sulla collaborazione di diversi colleghi ed amici: c’è Bonnie ‘Prince’ Billy, Marc Almond, Antony, e vari colleghi d’etichetta, tra cui Shirley Collins.
Ogni ospite canta la sua versione di ‘Idumaea’ (ce ne sono quindi 9 alternative, sparse tra le 21 canzoni del disco…), mentre il racconto della fine del Mondo procede in un vero e proprio “concept” che sarebbe piaciuto molto all’ultimo, biblico Johnny Cash.
Ora, malgrado alcuni ospiti coinvolti – Antony, Bonnie “Prince” Billy – appartengano all’autocompassionevole ed estetico folk americano moderno, va detto che ‘Black Ships’ è un lavoro molto più vicino alla moderna reinterpretazione che Steve Von Till/Harvestman sta dando in questi anni dell’antica tradizione folklorica britannica, e ciò non solo per il già citato carattere assai oscuro e superstizioso dei temi (già si parla di “apocaliptic folk”…), ma anche per certe scelte musicali: impostazione della voce (Baby Dee che canta ‘Idumea’), suggestivi contrasti silenzio/suono, qualche strumento tradizionale utilizzato (in ‘Idumea’, sia in quella cantata da Clodagh Simonds che in quella di Shirley Collins) a ricreare l’effetto di certi vecchi dischi di Alan Stivell.
Anche se la durata del disco è francamente eccessiva, e l’arpeggio acustico talvolta sfiancante, di bei momenti il disco abbonda; fantastico Antony, come sempre.
E per quanto ci riguarda, non resta che sperare che la tanto auspicata fine del Mondo non sia poi così prossima come sostiene l’inquietante David Tibet!
Autore: Fausto Turi