I vetero-appassionati di garage sanno sempre cosa attendersi da un nuovo disco dei
Chesterfield Kings, vere icone viventi (insieme a Fleshtones e Fuzztones), depositari fedeli del verbo rock&roll/garage/punk d’estrazione sixties/seventies sin dagli anni ’80. E non sono mai traditi perché quella di Greg Prevost e co. è une vera ‘missione’ archeologica, tesa al recupero attualizzato dei contenuti ormai cristallizzati nel tempo della ‘vera’ cultura garage/psichedelica, ed il titolo del nuovo album ne è la riprova: Alba Psichedelica!
Negli ultimi tempi in modo particolare i Kings di Rochester hanno fatto della citazione una vera e propria arte, che probabilmente a molti potrebbe sembrare sterile, ma chi ha superato gli ‘anta’ ed ha nel dna certe cose li considera semplicemente alla stregua di indomiti templari tenaci custodi del santo graal.
Il nuovo lavoro, Psychedelic Sunrise, col quale si accasano comodamente con la Wicked Cool di Little Steven, che tanto sta facendo per la rivalorizzazione del patrimonio storico del puro rock americano con il suo Underground Garage, è una vera miniera di citazioni, ma dimostra al contempo una straordinaria maturazione e compattezza di sound: un vero ‘wall of sound’ chitarristico, ritmico e vocale (molto più curati di una volta i cori!) denso di un’accurata ricerca armonica e melodica e di una varietà affascinante di temi. “Psychedelic Sunrise” ha due anime: la prima è quella descritta un po’ sinora, una psichedelia epica direzionata soprattutto verso i tardi anni ’60 britannici, quando gli arrangiamenti e le armonie si facevano più complessi con l’intreccio di suoni e strumenti nuovi (sitar, clavicembalo, harpsichord, e persino violini!) rispetto l’ingenuità beat, con cori sempre più sofisticati. Ne venne fuori un folto e variegato panorama di bands ‘freakbeat’ (termine coniato molto più tardi),
accanto ai capisaldi pop-psichedelici a 33 e 45 giri di Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Traffic ed in America dei Byrds.
Stiamo parlando di un lasso di tempo tra il’66 ed i primissimi anni ’70. Il primo brano di P.S., Sunrise (Turn On) ricalca l’incipit vocale di Puzzles degli Yardbirds, ben integrato in un accattivante mood spagnoleggiante (con tanto di nacchere) che poi si dipana selvaggio ed elettrizzante con Greg Prevost sboccato e Paul Morabito, chitarrista ritmico-solista scintillante come non mai, creatore di aggressioni ed oasi soniche stupefacenti!
“Rise and Fall” è la prima grossa sorpresa: su un ineluttabile ritmo cadenzato Prevost e co. sciorinano fantastici cori alla Byrds ed armonie quasi trascendentali: la raggiunta maturità espressiva è qui una splendida realtà, il suono è denso ed avvolgente, i nostri eroi alle prese con il fatale alternarsi delle fasi vitali?
Il percorso dell’alba psichedelica continua con “Streaks and Flashes“, brano arioso e solare che inizia ed è attraversato fascinosamente dal tema chitarristico di “Child Of The Moon” degli Stones (era il lato B di J.J.Flash), non si scappa.
“Elevator Ride” è forse il brano più ortodossamente psichedelico nel senso che i Kings inseriscono piuttosto incautamente a più riprese nel corpo del brano il tema di “Set the control for the heart of the Sun” dei Pink Floyd (da Saucerful of Secrets).
L’effetto é un pò imbarazzante perché la citazione é troppo lampante, vanificando un po’ il valore di un brano stracolmo di energia lisergica. L’unica caduta di tono dell’album! La stessa cosa avviene con il sitar, l’inizio ed il refrain di “Spanish Sun”, che attingono a piene mani allo storico single dei Rolling Stones “Paint It Black”. In tal caso però riescono ad integrare il tutto con un ottimo sviluppo in progressione dell’armonia. All’anima più prettamente freakbeat appartengono anche la meditabonda “Gone” a tempo di valzer, una riflessione distesa sulla caducità dell’ispirazione artistica (brano che evoca la pienezza del sound di certi Hearbreakers, la band del grande Tom Petty), e “Yesterday’s Sorrows”, un incrocio tra un outtake di Their Satanic Majesty’s Request (sempre Stones) e le sonorità psycho degli ultimi Yardbirds (quelli con J. Page e J. Beck) con Morabito ancora in superba evidenza. Entrambi i brani mostrano quanto si sia dilatata la vena compositiva dei Chesterfield Kings.
Addirittura barocco il minuetto di “Inside Looking Out“, sorta di Lady Jane del nuovo millennio, sapida di clavicembalo e violini (l’avreste mai detto!) con Greg Prevost che mette sul piatto inediti moduli vocali: il brano la dice lunga su quante sfaccettature freakbeat; i re di Rochester stiano esplorando e riportando alla luce!
La seconda anima di “Psychedelic Sunrise” è quella più selvaggiamente americana e più in generale rock&roll: per l’ennesima volta dimostrano di essere i veri eredi del rock dell’oltraggio degli Stones migliori; uno sfacciato Keith Richards-riff apre “Stayed too long“, nella quale echeggiano anche le New York Dolls più puttane, brano che si fa godere alla grande nella sua fragranza ed immediatezza.
Stesse chiarissime influenze in “Up and Down“, l’episodio più radio-friendly del disco, con fresche movenze power-pop. Ma è in “Outtasite” e “Dawn” che i C. Kings suonano dannatamente offensivi, due autentici pugni nello stomaco, fradicie di fuzz e di magnetiche sortite chitarristiche (Paul Morabito è in possesso di un tocco davvero superlativo!), con Greg Prevost scurrile, jaggeriano al cubo.
Il suo carisma vocale e di performer oggi non teme rivali e lo dimostra alla grande in questi due brani: ‘I…can’t…wait …till …dawn!’ soprattutto. Qui, nella parte centrale, ricrea all’armonica insieme all’inesorabile macchina ritmica dei Kings l’antico Yardbirds-speed (I’m a man, I Wish you would etc…) che i veterani che leggono ricorderanno bene!
In definitiva, “Psychedelic Sunrise” è un disco meno introspettivo ma molto più frastagliato, fresco ed agile del suo precedente, “The Mindbending Sounds of C.K.”.
Autore: Pasquale Boffoli