Musica da camera. Sembra l’unico contatto possibile oggi tra modern rock e musica classica, e ne abbiamo, d’altra parte, le prove: Rachel’s, Godpseed You! Black Emperor, e dalla remota Australia i Dirty Three. Non a caso messi in coda a questa lista, giacchè è il nuovissimo continente la terra di provenienza di Padma Newsome, viol(in)ista nonchè “main-woman”, quindi principale compositore (-trice) di questo ensemble altrimenti – per ciò che riguarda gli altri membri – più “comunemente” newyorkese.
E’ opportuno partire proprio dalle modalità compositive per conoscere i Clogs – tenendo presente che i relativi compiti ricadono anche su Bryce Dessner e la sua chitarra. Tutto nasce in studio, in forma di brain-storming di riff e idee, salvo venire “raffinato” ed elaborato in forma più compiuta (relativamente – tolta la breve e cantata ‘Lady Go’, scordatevi forma-canzone e affini) da Padma (che tutto è fuorchè una novellina visto il decorrere dei suoi trascorsi fin dai primi anni 80).
Tale lavoro dev’essere stato alquanto arduo per le 9 tracce di “Stick Music”, terzo album del collettivo australo-newyorkese. Il concept risiede infatti in un utilizzo “totale” delle corde, alla ricerca di tutte le possibilità timbriche che esse possono offrire: pizzicate, percosse, finanche strappate. E ovviamente, in guisa più ortodossa, suonate. Sperimentazioni che si riverberano sul sound conferendogli connotazioni più eteree, più impressionistiche, e anche più drammatiche di quanto ci si può attendere dalla “media” del genere (genere?). Dopo l’adattamento del ‘Ananda Lahari’ (“traditional” indiano), il frenetico vibrare di corde che apre ‘Pencil Stick’ spalanca fredde atmosfere kingcrimsoniane (ricordate le parti di archi di “Larks’ Tongues in Aspic”? qualcuno è riuscito a fare di meglio da allora?), che più volte ricorreranno nel corso dell’album.
E’ solo uno dei tanti mood tratteggiati da Padma e soci, il più delle volte intrecciati in uno stesso brano e arricchiti da un meticoloso lavoro di insolite percussioni: ambientalismi cinematici (‘My Mister Never Ending Bliss’), virtuosismi tzigani (‘Pitasi’) e un crogiuolo di vaghe suggestioni etniche sempre indecifrabili sulla effettiva direzione presa. Non esiste un “baricentro stilistico” nella musica dei Clogs, né si può prevedere cosa accadrà nell’istante successivo a quello di ascolto. Ambient Music? Chamber Music? Più semplicemente: “Stick Music”…
Autore: Bob Villani