Dopo quattro anni dal disco di debutto torna a farsi sentire la voce di Victoria Hesketh, alias Little Boots. Cosa è successo nel frattempo? Che gli anni Novanta sono ritornati prima del previsto con le schiere idolatriche di clubbers che reinterpretano le brave Gwen Stefani e muovono in alto le mani a fendere l’aria come un karateka as we used to. E allora con Nocturnes la giovanissima inglesina sembra finalmente poter rendere omaggio al sistema stesso che l’ha fatta nascere prodotto.
Uno poi dice i talent show. E diciamolo pure: che Victoria Hesketh a soli sedici anni si è affermata quale vincitrice dell’edizione inglese di Pop Idol e con grande coerenza oggi sottoscrive questi inni pop per le stanze buie dei locali della notte. Ecco Broken Record, ecco Shake: Kylie Minogue e Madonna (dopo la scoperta dei leggings di lycra) la voce sensuale e falsamente innocente della cantante saltella sul ritmo sintetico dei sintetizzatori che si inchinano sempre alla melodia e non osano mai troppo, non stordiscono. Non sarebbe educato. Del resto stanno accompagnando una signorina da bene.
L’incipit del disco ci prefigura un’opera house, ma il pop è sempre in agguato. Anche quando su Beat, beat si ha l’impressione di tornare indietro alla dance anni Settanta. Nessuno si ricorda Starlight dei Supermen Lovers? Altro che Febbre del Sabato Sera. Era il 2001, e il video di quelle indimenticabili patate antropomorfe dello spazio era ricco di tributi già così avanguardisticamente nostalgici: il disco suonato dal pc, la tv che trasmette gli scheletri messicani di Tim Burton.
Nocturnes si chiude con Satellite, un brano che conferma definitivamente la passione di Victoria per la scuola Ciccone. Questa volta è Ray of Light. Ed è divertente assistere alla trasformazione in classico di una canzone che per circa un decennio per la maggior parte delle persone è stata niente più che un piccolo frammento di pop culture, zapping e tv.
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autore: Olga Campofreda