Dopo due album prodotti da Jeff Tweedy, prendere un monumento del soul-errebì e dell’universo black tutto quale Mavis Staples e farci un disco non deve essere stata cosa semplice.
Eppure M.Ward ha confezionato un lavoro consono e fedele al proprio stile asciutto, scarno ma luminoso e vibrante, non troppo lontano dal linguaggio dei Wilco.
Due sembrano essere le prerogative principali di Livin’ On A High Note: privare il soul dei lustrini della fortunata scena black mainstream contemporanea per restituirne la misura della classicità e fonderlo con trame altre, come quella alt-country per fare un esempio, per svelare tasselli importanti che vanno a definire la bellissima e vastissima storia della musica americana.
Mavis Staples, nonostante il peso della sua storia, si lascia ancora una volta plasmare fiduciosa da produttori che non temono di osare e spingersi nelle proprie visioni, forti del senso di quella storia e dell’infinito rispetto che nutrono per essa.
E’ nel riverbero di una chitarra twangy, è nella preghiera suggerita da Nick Cave (ma all’album collaborano anche Bon Iver, Ben Harper, Tune-Yard..), è nell’intimità di una Dedicated che ancora si alza la voce di colei che ha condiviso il palco con Martin Luther King (l’ultimo blues del disco in cui si rievoca un suo sermone prende il suo nome); è in questo canto di gioia ormai lontano dai sessanta della Motown e della Stax che ancora sopravvivono le tante contraddizioni che infiammano le strade quotidiane dei neri d’America.
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autore: A.Giulio Magliulo