Zirconium Meconium, uscito per Heavenly Recordings il 25 September 2015, non potrebbe meglio essere presentato nel suo spirito dalle parole della stessa band, che lo descrive come “una collezione di canzoni che musicalmente interpretano il processo di integrazione della terza dimensione da una prospettiva di energia vitale incarnatasi nel mondo fisico”. Ecco, appunto, questi sono i Fever the Ghost, e questa potrebbe essere la loro musica descritta a parole: un allegro caos, pieno di vibrazioni positive, un senso di meraviglia adolescenziale che si muove all’interno di un sound pop futuristico.
Sembrano degli alieni sbarcati sulla terra, soprattutto se ascolti i primi pezzi, ma non lo sono: solo nell’ultimo anno, la band di Los Angeles, composta da Casper (vocal /guitar), Bornabin (synth), Nicolas (drums) & Mason (bass), ha suonato in tour con The Flaming Lips, Sean Lennon, e Temples, e ha partecipato all’ultimo tributo ai Beatles ’A Little Help From My Friends,’ curato da Wayne Coyne. Eppure il loro sound sembra venire da altrove: l’introduzione di Metempsychosis ti immette nel mood del disco, ma è con Rounder II che già capisci di trovarti in terra straniera (una Hinterland, appunto, come dice la successiva canzone), data l’avversione della band per la struttura verso-ritornello, e dato il tentativo di sintesi tra rock, groove e tanta elettronica.
La musica sembra quella di una compagnia circense che fa spettacoli futuristici, ma ha in realtà una solida tradizione: c’è tanto progressive alla King Crimson, un pizzico di Kraut Rock, e una miscela di glam rock e psichedelia (soprattutto in Surf Up e Long Tall Stranger). In pratica, un grande calderone di ciò che è stato più sperimentale nei seventies: un circo musicale, appunto.
Se è difficile seguire il loro progetto musicale per la prima parte del disco, poi si assiste a una svolta improvvisa, e da Fathoms e 1518 in poi si sterza verso un pop psichedelisco che pur tra mille trucchi resta sempre pop, piacevole e gustoso come all’epoca quello degli ABBA. Il trasformismo dei Fever raggiunge qui il suo massimo esito: dopo aver scioccato, colpito, e a tratti anche disturbato con le prime incomprensibili canzoni, si volta improvvisamente verso la struttura canzone più semplice che mai, seppur condita di tante soluzioni innovative, e soprattutto retta dalla batteria di Nicolas che è il vero perno da cui partono i viaggi musicali di questo disco. E si gustano, queste canzoni, come Vervain (Dreams of an Old Wooden Cage) o Sun Moth, si gustano davvero, perché c’è ritmo, c’è una struttura che convince, c’è addirittura una base dance (1518, Equal Pedestrian) e c’è la giusta dose di originalità fusa a melodia, in una combinazione che diventa una sorta di colonna sonora per una fiaba del futuro. Ed è in effetti una bella fiaba quella che i Fever the Ghost stanno tentando di costruire con il loro progetto, difficile ma artistico nel senso più puro del termine.
Un progetto da tenere d’occhio nei prossimi anni.
https://www.facebook.com/fevertheghost
autore: Francesco Postiglione