Questo secondo lavoro dei Bachi da pietra scava e penetra nel nostro inconscio, in tutto ciò che siamo e che non siamo. Sullo sfondo c’è un blues minimale, concettuale, blues inteso come tristezza e profondo malessere interiore perché coscienti di nostri limiti e del nostro reale essere – a volte – perversi e cattivi nell’inconscio. “Abbiamo una vita reclinabile in pelle” canta Giovanni Succi in “altri guasti” e poi continua “fatti riconnettere” con un musica densa di rimandi evocativi e circolari, essenziali con i metalli e le pelli suonati da Bruno Dorella, con la complicità di Alessandro Bartolucci. Ciò che non siamo, per dire ciò che siamo è il messaggio essenziale che emerge dalla title-track, dove Succi sciorina frasi di continuo e termina il brano con una frase che sconvolge e che ti penetra talmente da spiazzare anche l’animo più cinico con quella “in pectore implodo tre centimetri sul piano del suolo”. Le angosce si fanno vertigini nel veloce precipitare dell’inquietante “Bastiano” screziata e ansiogena al punto giusto, dopo essersi adagiati sulla riflessiva ed eterea ultraterrena “Farfallazza” nella quale si rievocano i fantasmi degli ultimi Six Minute War Madness, dove struggono le chitarre penetranti che si succedono catarticamente alla farse “prima di darlo per morto assicuratevi di essere vivi”. L’elettronica, un trip-hop talmente riavvolto su se stesso da far sembrare i Massive Attak un gruppo pop, di “Giorno perso” penetra e crea una dipendenza da ascolto ed intrigante, anche a causa del cantato di Succi, quasi soffuso e poco scandito, sovrastato dalla ritmica. Non a caso la conclusione è affidata al blues di “Ofelia” con chitarre più chiare e con varie derivazioni, dove però torna l’angosciosa circolarità e ripetitività della vita.
Autore: Vittorio Lannutti